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Cronaca

COMMEMORAZIONE FASCISTA DI ROVETTA: POLEMICA PER LA DATA E PER IL FANATISMO

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– ROVETTA – Ogni anno torna a fine maggio il raduno fascista a Rovetta per commemorare i 43 miliziani della Repubblica Sociale Italiana della Legione Tagliamento fucilati dai partigiani il 28 aprile 1945. E con il raduno tornano le polemiche: diverse sono infatti le dimostrazioni di contrarietà promosse negli ultimi anni.

Come quelle dell’Anpi, del Comitato Bergamasco Antifascista e de I Ribelli della Montagna, che anche quest’anno, con l’annunciarsi del raduno il prossimo 25 maggio, hanno ribadito il loro “No” a quello che non è altro, secondo loro, che “un raduno fascista”. Insieme alle loro voci quest’anno sono arrivate due interpellanze urgenti presentate al Ministro dell’Interno Angelino Alfano dagli onorevoli bergamaschi Pia Locatelli e Antonio Misiani.

Quest’anno inoltre la manifestazione corrisponde con le elezioni Amministrative e Europee, per questo i gruppi contrari hanno chiesto al Prefetto di Bergamo che “venga vietato il raduno di Rovetta, sia perché concomitante con le elezioni amministrative ed europee e quindi in turbativa del divieto di comizi e riunioni di propaganda politica, fissato per legge, sia perché il contenuto di dette iniziative si pone, come regolarmente avvenuto in passato, in violazione della Costituzione”. Dal Prefetto non è arrivata ancora alcuna risposta proibitiva.

 

LA STORIA: “I FASCISTI DEVONO PAGARE PER I CRIMINI COMMESSI”

Facendo un passo indietro ed analizzando la storia si apprende che il 28 aprile 1945 a Rovetta venne promossa l’esecuzione sommaria di quarantatré soldati della 1ª Divisione d’Assalto “M” appartenente alla Legione Tagliamento, inquadrata nell’ambito dellaGuardia Nazionale Repubblicana della Repubblica Sociale Italiana. L’esecuzione arrivò dopo che i militanti, avendo appreso la resa nazifascista il 26 aprile, decisero trovandosi a Rovetta di deporre le armi e di consegnarsi al locale Comitato di Liberazione Nazionale (CLN). In tale occasione il loro ufficiale, Sottotenente Panzanelli, fece sottoscrivere e sottoscrisse un documento a tutela dei prigionieri, a firma sua, del parroco Don Bravi membro del CLN locale, del Maggiore Pacifico ed altri.

I militi, lasciate le armi, vennero trasferiti nei locali delle scuole elementari del paese in attesa di essere consegnati alle autorità del Regno del Sud o agli eserciti regolari degli Alleati.

Il 28 aprile arrivò però in paese un gruppo di partigiani composto da appartenenti alla 53ª brigata Garibaldi, alla Brigata Tredici Martiri, alla Brigata Camozzi e alle Fiamme Verdi, che prelevarono i militi dalla scuola e li scortarono presso il cimitero del paese. Il Panzanelli tentò di far valere lo scritto in suo possesso con le garanzie sottoscritte, ma il foglio con le firme gli fu strappato di mano e calpestato. “I fascisti devono pagare per i crimini commessi”. Giunti presso il cimitero vennero organizzati due plotoni d’esecuzione e 43 dei prigionieri, di età compresa dai 15 ai 22 anni, vennero fucilati. La Procura della Repubblica di Bergamo aprì nel 1946 un procedimento penale che si concluse nel 1951 con una sentenza che stabilì di non dover procedere contro gli imputati, in particolare contro Paolo Poduje detto il “Moicano”, definendo la fucilazione non un crimine ma un’azione di guerra poiché ufficialmente l’occupazione nel territorio bergamasco è cessata il 1º maggio 1945.

La storia e la legge dunque hanno fatto il loro corso, mentre la questione sembra non trovare pace nel presente. Come se le vittime di guerra fossero diverse davanti a quella morte atroce che ha colpito tutti indistintamente dal colore politico e che ha cambiato il nostro paese per sempre.

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