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LA MAGLIA ROSA DI URAN E’ STATA TINTA IN PRESOLANA
Rigoberto Uran si riconferma Maglia Rosa anche nella tappa di oggi, la 14° del Giro d’Italia, dopo aver acquisito il titolo nella tappa di venerdì 23 maggio. Un atleta che in un certo modo deve la sua fortuna alla Valle Seriana, in particolare ad un fisioterapista della zona della Presolana.
Perché solo chi cade può risorgere. Il punto è vedere se ti devi affidare all’onnipotente, per curare le ferite dello spirito oppure alle mani di chi è in grado di ricostruire le lesioni che muscoli e ossa hanno subito, dopo una brutta caduta che poteva essere la conclusione di una carriera. Probabilmente non sono stati questi i primi pensieri di Uran, quando ha ripreso conoscenza, dopo aver scavalcato il guardrail che delimitava la stretta discesa di una tappa al giro di Germania. Non deve aver nemmeno pensato a un’altra frase storica “una volta toccato il fondo puoi solo risalire”, nonostante fosse per metà immerso nel torrente gelido, con le braccia fratturate, con lesioni sparse su tutto il resto del corpo, con la paura che lo scuoteva e con il terrore di non poter più essere ciò che sino da bambino aveva sognato di poter diventare. Un campione del
Una volta giunto in ospedale, oltre alle parole dei medici, alle frasi degli amici, Rigoberto si è trovato a chiedere a chiunque passasse davanti al suo letto quale fosse la via da seguire per poter ricominciare. Un barlume di speranza è arrivato dal suo manager Acquadro. Aveva sentito parlare di una persona con le mani d’oro, in grado di rimettere ordine a lesioni che in quel momento sembravano difficili da guarire. Non c’erano grandi speranze di riprendere in mano le redini del sogno, ma era giusto provarci ed è da una telefonata, fatta da Giuseppe Martinelli, lo scopritore di Cunego e Pantani che nasce l’amicizia fra Rigoberto Uran e William Amighetti, appassionato di letteratura e cultura, fresco collaboratore della nostra testata a cui abbiamo chiesto un’intervista.
Nella foto a sinistra Uran a destra Amighetti
L’INTERVISTA A WILLIAM AMIGHETTI
Cosa ricordi di quel giorno?
Tutto. Il telefono che squilla. Il display che mi indica il nome di Martino (Martinelli, come viene chiamato in gruppo ndr) e la sua voce calma, che mi parla di questo ragazzo. Non è un suo corridore, mi dice, ma vive vicino a lui, ha talento ed è tutto rotto.
E poi cosa succede?
Succede che il signor Acquadro mi chiede di poterlo visitare. Il messaggio è abbastanza chiaro. Dice che è piuttosto storto, per usare un eufemismo. Dice che ha un grande motore ma che la carrozzeria è praticamente andata. Così concordiamo un appuntamento e Rigoberto arriva a Bratto, accompagnato da una signora piuttosto riservata, che scoprirò poi dopo essere colei che lo ha accolto in casa e che lo ha fatto sentire come uno di famiglia.
Le immagini della caduta hanno fatto il giro di internet. I bollettini medici si leggevano sui giornali sportivi, ma quando è arrivato da te come stava?
Allora, le lesioni ossee erano già guarite. Per un usare un termine del nostro gergo potrei dire che era incordato. Sembrava incementato. Rigido. Legnoso nei movimenti. Comunque l’accordo con i direttori sportivi era quello di incominciare a lavorare sulla postura, che è poi il mio pane quotidiano. Abbiamo iniziato a scaricare dati di appoggio, valori di spinta e lì si è incominciato a vedere che in Germania lo aveva incollato alla perfezione, ma i pezzi non combaciavano correttamente.
Cioè? Sembra di sentir parlare di un vaso rotto e che è stato aggiustato maldestramente.
Non era male. Sarebbe sbagliato dirlo, ma diciamo che la fase ortopedica si era concentrata più sulla praticità che non sulla funzionalità. Chiunque si sarebbe potuto dichiarare soddisfatto di quanto svolto dai medici tedeschi, ma non di certo un atleta professionista. Rigoberto era storto. Ruotato è il termine corretto, con il bacino che assomigliava ad un fusillo appoggiato sopra alla sella. Era in torsione e le gambe non potevano spingere in maniera corretta. La forza risultava limitata. Così abbiamo concordato che la fase iniziale si sarebbe concentrata sulla corretta distribuzione dei carichi e ho proceduto a costruirgli un plantare speciale. Bisognava ripristinare dei segnali che piedi e gambe avevano perso con quella maledetta caduta.
Tutto facile per te. Questo tipo di lavoro lo avevi già fatto altre volte e il palmares non è di poco conto. Forse anche per questo che la Caisse d’Epargne, la squadra di Rigoberto ti aveva contattato.
Può darsi, ma io dico sempre che i successi precedenti non curano nessuno. Qui c’era da rimettere in sella un ragazzo a cui in quel momento non poteva interessare il fatto che io avessi già lavorato con successo con diversi suoi colleghi. Comunque i primi step hanno dato subito dei segnali positivi e i primi muscoli che hanno cominciato a cedere alla tensione sono stati quelli che hanno messo in mostra un sorriso contagioso. Rigoberto è “una sagoma” ci mette un po’ a carburare ma poi è davvero simpatico.
La maglia Rosa deve quindi ricordare che l’inizio della sua ascesa nasce anche da un piccolo studio di Bratto?
Non è tutto mio il merito. Gran parte del lavoro lo ha svolto poi un amico che ha un negozio di biciclette a Costa Volpino, Alfio Bettoni. Ci conosciamo da quando siamo bambini ed è uno che il suo lavoro lo fa tremendamente bene. Io l’ho chiamato quando ho giudicato sufficiente quello che avevo fatto e gli ho chiesto di poter dare una controllata alla pedalata di Rigoberto. Mi ricordo che Uran è partito subito per andare a fare una sgambata in Valle Camonica e che verso sera Alfio mi ha telefonato dicendomi che uno così storto era da un po’ di tempo che non lo vedeva. Ha lavorato sui millimetri. Alza un po’ a destra. Sposta un po’ a sinistra. Insomma, alla fine lo aveva completamente stiracchiato e Rigoberto ci ha messo qualche giorno per riuscire ad adattarsi a quella nuova impostazione. Però da subito ci aveva detto che si sentiva soddisfatto. Gli faceva male un po’ ovunque ma capiva che avevamo centrato il problema.
E adesso eccoci qua. Per te non è la prima maglia rosa, così come non era la prima medaglia olimpica quella che Uran ha conquistato a Londra.
Vero. Ho lavorato con Ivan Basso (due giri d’Italia vinti ndr) con Danilo Di Luca, con Carlos Sastre e con Fabian Cancellara, ma la maglia di Rigoberto è una soddisfazione grandissima. Finalmente gli amici hanno smesso di sorridere ogni volta che faccio il nome di Rigoberto indicandolo come il campione del futuro. Io ho iniziato a crederci il giorno stesso che è entrato nel mio studio e continuo a pensarlo ancora oggi. Ah, ho scommesso su di lui il giorno prima della partenza del Giro. Incrociando le dita mi sa che quest’anno Rigoberto mi manda in ferie gratis.
Segui altri campioni in questo momento?
Molti di meno e a dire il vero mi sto allontanando dal mondo dello sport professionistico. Ci sono stato per circa dieci anni. Ho avuto tanta fortuna. Ho contribuito a tanti successi ed ho una decina di album pieni di ricordi, maglie, medaglie, insomma, il mio piccolo museo, però adesso sono stanco di fare la vita del nomade. Sto bene anche a casa. Mi dedico ad altre cose. Continuo con il mio lavoro ma con più calma.
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