Seguici su

10 DOMANDE ALL'AUTORE

INTERVISTA A IGORT

Pubblicato

il

Quando eravamo bambini, a molti di noi è capitato di ricevere una scatola di mattoncini Lego, piuttosto che la serie del Meccano o gli immancabili pennarelli della Giotto. Pochi sono diventati ingegneri edili sfruttando le tecniche di costruzione di improbabili città colorate. Ancora meno sono coloro che hanno deciso di non scarabocchiare intere risme di carta bianca e di dedicarsi invece al perfezionamento del tratto, sino a ricavarne uno stile proprio. Igor Tuveri è uno di questi. 

I suoi disegni continuano a sposare storie che bussano alla sua porta chiedendo di poter essere ascoltate e poi illustrate. 

 

Come nasce il progetto di Quaderni Ucraini?

Mi sono sempre sentito molto vicino alla cultura Russa. Il mio vero nome è Igor, la mia famiglia era imbevuta di cultura russa, musica, letteratura. Mio padre era compositore e lui e mia nonna mi raccontavano i romanzi della tradizione letteraria russa prima ancora che sapessi leggere. Conoscevo i personaggi dei grandi romanzi, erano come degli zii lontani, ma veri.

Igort, nato in Italia, residente in Francia, narratore di storie russe la tua matita può essere considerata cosmopolita?

Di fatto sono un apolide. Un po’ nomade. Devo dire però che la scoperta della mia identità forse l’ho scoperta nel mio andare e tornare continuo verso il Giappone. Citando Simenon mi viene da dire che “è quando sei lontano che capisci i tuoi confini”.

Ogni essere umano ha nascosto dentro di sé un talento. Quando ti sei accorto di possederne più di uno e come hai iniziato a metterli in pratica?

Credo di averlo sempre saputo. A sei anni disegnavo. A sedici avevo già il mio primo editore. Credo di avere avuto la fortuna di capire quale sarebbe stato il mio ruolo nella vita. Mi sono seduto, giorno dopo giorno, per assecondare il flusso, delle idee, visioni, racconti, che arrivava chissà da dove. Sapevo solo che dovevo farlo, perché quando non stavo immerso in quella strana “salamoia di racconto” stavo male.

Quando eravamo bambini disegnavamo improbabili aerei che avrebbero dovuto portarci lontano. Tu sei finito in Russia con i tuoi disegni.

Volevo fare un libro “letterario”, raccontare cioè Anton Checov attraverso le sue case, le case che aveva abitato. La più importante di tutte era la “belaia dacha” (la casa bianca, che aveva sognato di poter comprare per tutta la vita). Questa casa grande con giardino esotico era a Yalta. Per raggiungerla presi un aereo per Kiev, dovevo attraversare in treno tutta l’Ucraina. Un modo anche per cominciare a capire il paese che indirettamente avrei raccontato. Ho trovato un interprete e ho cominciato a girare. A guardare. A fare domande.

Diciamo che in Russia non è proprio il passatempo preferito quello di fare domande.

La Russia è diversa per carattere dall’Ucraina. Mi avevano raccomandato di non fermare le persone per la strada, poteva essere molto pericoloso. Comunque in breve il libro su Cechov è rimasto al palo. Sentivo uno strano sentimento di malinconia e dolore attorno a me. Così ho chiamato l’editore e gli ho detto: “senti il libro su Cechov lasciamolo da parte per ora, faccio una cosa diversa, voglio raccontare come hanno vissuto “il sogno comunista”. Ora il punto è questo, man mano che fermavo  le persone per la strada e chiedevo di raccontarmi quegli anni, mi rendevo conto di quanto quelo sogno per loro fosse stato un incubo. Io sono sempre stato una persona di sinistra, dovevo capire. Alla fine sono rimasto quasi due anni tra Ucraina, Russia e Siberia. In Russia le risposte erano molto diverse. Mi sono imbattuto in persone che mistificavano, che non volevano che arrivassi al punto. “In Cecenia? Non c’è nessuna guerra”. Dicevano. Poi tramite certi amici, e Amnesty ho avuto documenti e incontrato persone, vittime di abusi. E’ stato atroce, ma importante. La Politkovskaja sosteneva con forza la necessità di poter dare voce alle persone. Diceva quanto fosse importante raccontare ciò che vedeva.

Uccisa perché parlava troppo o perché comunque aveva visto cose che in teoria non dovevano essere viste. Tu scrivi e disegni ciò che vedi. Un connubio pericoloso.

Io amo il fumetto , come linguaggio meticcio. Usato secondo le potenzialità che il mezzo offre possiamo ricostruire dei documentari disegnati che se fossero al cinema costerebbero quanto un film di Spielberg. E’ anche questa la sua forza, un mezzo economico. In Ucraina, mentre raccoglievo le testimonianze e mi rendevo conto che si è parlato pochissimo della strage di kulaki, che in soli 2 anni ha sterminato da 7 a 10 milioni di ucraini, per volere di Stalin che così puniva le spinte indipendentiste (la storia si ripete, oggi, con Putin) alcuni amici cari mi scrivevano “fai male a fare questo libro, a raccontare questa storia”. Dicevano che avrei finito per fare un favore alla destra. Ora io credo che il diritto alla memoria non vada esercitato a senso unico.

Usare il bianchetto per correggere la storia non è offrire un servizio alla verità.

Da ragazzo, gli anni del liceo, ricordo che Solzenicyn o Sakarov, erano trattati come dei traditori dell’ideologia comunista. Non sapevamo. Poi, crescendo, ho ripreso in mano Arcipelago Gulag, i racconti di Kolyma di Šalamov. E ho capito che le cose erano diverse.

Ti riporto in caduta libera verso casa. quando eri piccolo cosa leggevi?

Al principio, come tutti i bambini italiani degli anni Sessanta, Topolino e il corriere dei piccoli. Queste le prime letture, poi verso i dieci anni gli eroi della Marvel. Nella tarda adolescenza avevo bisogno di qualcosa di più complesso, i fumetti di Eisner e Caniff furono fondamentali, e poi, nel 76, cominciarono a essere pubblicate le storie di Metal Hurlant, che univano il fantastico a un approccio surrealista.

Una domanda che facciamo a tutti gli autori. Immagina di poter mettere nel cassetto dei comodini degli alberghi un libro a tua scelta. Cosa sceglieresti ?

Credo “L’elogio della quiete” o il “Romitaggio della dimora illusoria” di Basho.

Visto che abbiamo fatto trenta e considerati i tuoi trascorsi da “voice” radiofonica, ti faccio scegliere anche la colonna sonora dei nostri immaginari viaggiatori.

Beh, se devi stare sulla Lounge music che trovi nelle hall degli alberghi, allora dico Brian Eno, se invece il viaggio necessita di maggior verve metto sul piatto gli Eels

Conosco il video di Novocaine for the Soul, sembra un fumetto cinematografico. Se analizzi i loro testi trovi questa continua necessità di narrare e di analizzare gli avvenimenti passati. Se tu avessi la possibilità di avere in mano una gomma, cosa cancelleresti e cosa ridisegneresti?

Non cancellerei niente. Non cambierei nulla. Credo che il nostro cammino sia questo: cercare di capire le cose che ci circondano. Approfondire, se possibile, per scoprire l’essenza. Di tutto. Anche del dolore.

Hai mai provato a dare un colore al dolore?

Nelle mie storie il dolore è fonte di domande, qualche volta apportatore di conoscenza.

In questi giorni il mondo si è paralizzato davanti all’attentato che ha posto fine alla vita dei disegnatori di Charlie Hebdo.

Non riesco bene a metabolizzare quello che è successo, non riesco a smettere di pensarci.

Avanzano concetti teocratici e fanno proseliti nell’ignoranza.

Credo che sia necessario chiarire che i valori della nostra cultura, libertà di espressione, di pensiero, di culto, non sono negoziabili. La nostra cultura non è in contrapposizione con quella altrui, ma è chiaro che le cose dopo questo attentato, non saranno più le stesse. Ho sentito i miei amici, la comunità è molto scossa.

La libertà di opinione si basa anche sulla massima di Voltaire, “Io combatto la tua idea, che è diversa dalla mia, ma sono pronto a battermi fino al prezzo della mia vita perché tu, la tua idea, possa esprimerla liberamente”.

Sì, esattamente questo. Credo che questo concetto sia alla base della nostra visione laica dello Stato. Poi, nell’intimo di ognuno di noi, possiamo coltivare il culto che vogliamo.

 

LEGGI ANCHE: QUADERNI UCRAINI

 

A cura di Wiliam Amighetti

Scrivi a cultura@valseriananews.info

Continua a leggere le notizie di Valseriana News e segui la nostra pagina Facebook

Clicca per commentare

Tu cosa ne pensi?

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *