10 DOMANDE ALL'AUTORE
INTERVISTA AD ALBERTO BRACCI TESTASECCA
Alberto Bracci Testasecca è una sorta di istituzione nel mondo della traduzione Dobbiamo a lui la possibilità di leggere i romanzi di Eric Emmanuel Schmitt, lo scrittore belga che da tempo mette a segno una serie di successi editoriali. La chiacchierata con Alberto Bracci Testasecca svela alcuni situazioni su di un mondo decisamente sconosciuto e affascinante.
Come nasce il progetto di Ottantatré?
Dopo avere tradotto di tutto, mi sono reso conto che potevo dire qualche cosa di mio anche io. L’idea era quella di descrivere una vita raccontando un episodio all’anno e, sullo sfondo della storia del protagonista, far scorrere il rullo della Storia.
Personalmente ritengo il tuo romanzo uno dei più bei libri pubblicati negli ultimi anni. Ci sono altri progetti in arrivo?
Grazie. No, al momento no. Torno nella dimensione quotidiana della traduzione. Posso però ricordarti che in passato ho pubblicato Volevo essere Moccia (ed. La Lepre) e ancora prima Il Treno, sempre per la edizioni e/o
Ottantatre può essere visto anche sotto forma di diario. Una passione questa che accomuna moltissime persone che poi, spesso, sentono il bisogno di rendere pubbliche le loro memorie
No, non è un diario, è un racconto di fantasia, anche se alcuni degli episodi descritti appartengono al mio vissuto o a quello di persone a me vicine.
Oggi sembra che il passato non interessi più. La letteratura è più improntata su scenari futuri, spesso catastrofistici, oppure su situazioni paradossali con mondi popolati da vampiri o creature subnormali. Dimenticare ciò che eravamo costituisce comunque una forma di imbruttimento intellettuale….
Diciamo che la tendenza al catastrofismo (peraltro abbastanza giustificata dal penoso stato in cui versa il pianeta) e al vampirismo c’è nella letteratura di massa, quella dei best-sellers americani, che è un po’ una letteratura di serie B. Nella letteratura di qualità non mi sembra che il passato non interessi più, penso per esempio all’opera di Elena Ferrante, che ha composto un monumentale e magistrale affresco italiano dagli anni Cinquanta a oggi.
Anche nel panorama letterario si assiste all’esterofilia secondo te?
Non lo so. Può essere pure che il panorama letterario italiano sia talmente scarso da spingere i nostri pochi lettori a rivolgersi all’estero.
Spesso nelle stanze d’albergo si trova una copia della Bibbia. Se tu potessi aggiungere un testo, su quale ricadrebbe la scelta?
Credo che opterei per L’Arte di amare, di Ovidio e potendo aggiungerne ancora uno non tralascerei La medicina dell’Amore, sempre dello stesso autore. Perché in realtà nella Bibbia si parla di tante cose, ma poco d’amore
Quali sono stati i tuoi romanzi di formazione?
Ho letto davvero di tutto. Ero un divoratore di polpettoni letterari. Conrad, London, Melville e Stevenson per l’avventura, e poi i classici russi, Tolstoj, Dostoevskij, Goncarov, Gogol. E la letteratura americana del Novecento, Steinbeck, Scott-Fitzgerald. E i francesi, Stendhal, Flaubert, Maupassant, France, Sartre… Uh, non si finisce più!
Da più parti, oggi, si rafforza la voce che nel nostro paese si legge troppo poco
E aggiungo che invece si pubblica troppo, il che dovrebbe quantomeno fare riflettere. Che senso ha mettere sul mercato un prodotto che difficilmente verrà poi acquistato e ha il solo risultato di mandare in confusione il lettore? Case editrici e librerie dovrebbero essere più selettive.
Forse la speranza di potersi arricchire dando alla stampa le proprie memorie? Prima di diventare traduttore e poi scrittore tu cosa facevi?
Di tutto, nel vero senso della parola. Sono stato tour leader di viaggi-avventura in giro per il mondo, ho fatto il montatore cinematografico a New York, ho avuto una galleria di grafica moderna a Roma, ho curato una mostra su Leonardo Da Vinci a New Delhi e Bombay, mi sono occupato di servizi museali su tutto il territorio nazionale…
Esperienze che non sono fondamentali per poter diventare traduttore
No. È stata una casualità. Quando ho smesso di occuparmi di servizi museali per ragioni private ho cercato un lavoro che potessi fare in assoluta libertà, com’è appunto quello del traduttore. Ho lavorato per varie case editrici, poi c’è stato l’incontro e il colpo di fulmine con la casa editrice e/o. Ormai lavoro quasi esclusivamente per loro, e ti assicuro che è una delle case editrici più serie e professionali che conosca. Il primo testo che mi hanno affidato è stato Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano, di Schmitt, un autore francese di cui posso dire di avere tradotto praticamente tutto.
Il traduttore è un po’ come il doppiatore, può capitare anche nella tua professione che la caratterizzazione che dai rende migliore l’intera struttura del romanzo?
Rispondo con un aneddoto. Tempo fa un professore di francese mi ha contattato per dirmi che stava leggendo lo stesso libro in francese e in italiano tradotto da me, e che la mia traduzione era migliore della stesura in lingua originale! Scherzi a parte, non è strano che una traduzione “rinvigorisca” un testo: in fondo è un editing in più svolto da un occhio diverso e professionalmente qualificato.
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A cura di Wiliam Amighetti
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