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Cronaca

Qualità ed efficacia nei Punti nascita, “Sotto i 500 parti annui non sono sicuri” – L’intervista al professore Vendramini

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Il numero minimo dei parti in un Punto nascita è importante per garantire sicurezza e qualità. Lo spiega in quest’intervista il professore Vendramini.

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Emanuele Vendramini, professore associato dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e Professore della Scuola di Direzione Aziendale dell’Università Bocconi, sulla questione del Punto nascite di Piario non ha dubbi: “Nonostante il personale medico sia competente, sotto un certo numero di parti annui la casistica non è sufficiente per garantire un servizio efficace e di qualità”.

Si torna dunque a parlare del decreto ministeriale che fissa a 500 parti il numero minimo per tenere aperto un Punto nascita e, nello specifico della nostra zona territoriale, del caso dell’ospedale Locatelli di Piario: la notizia della chiusura proclamata con un documento ufficiale del Ministero della Salute che attua il piano Fazio del 2010, ha gettato nello sconforto amministratori e cittadini, ma il professore Vendramini ci spiega perché il numero minimo è tanto importante per garantire sicurezza e qualità alle mamme e ai bambini.

vendraminiIl professor Vendramini insegna sia in Italia che all’estero e si occupa inoltre di Management pubblico e di organizzazione e gestione dei servizi sanitari dal 1996 .

L’intervista

Le sue affermazioni in merito sono chiare: i punti nascita sotto i 500 parti non sono sicuri. Come motiva questa affermazione? 

Sono preoccupato perché tutte le linee guida di tutte le società scientifiche evidenziano che i medici hanno bisogno di un numero minimo di casi per garantire la qualità. La questione è quindi che i numeri dell’ospedale di Piario non sono sufficienti, alla luce delle evidenze scientifiche, a garantire un servizio efficace nei casi più complessi.

Quindi, anche se i medici e il personale di Piario sono bravissimi, non hanno la possibilità di vedere casi complessi e non sono attrezzati (tecnicamente si parla di clinical competence) a rispondere ad emergenze improvvise. Sotto un certo numero la casistica non è sufficiente per garantire un servizio efficace e di qualità.

La distribuzione dei parti per volume di attività dei punti nascita (numero di parti/anno) indica una quota non trascurabile di nascite in strutture con meno di 500 parti l’anno (standard minimo per cure perinatali qualitativamente accettabili) ed un’ampia variabilità territoriale. L’Accordo Stato-Regioni del 16 dicembre 2010 fissa, quindi, in almeno 1000 nascite/anno lo standard a cui tendere, nel triennio, per il mantenimento/attivazione dei punti nascita e prevede la “razionalizzazione/riduzione progressiva dei punti nascita con numero di parti inferiore a 1000/anno, prevedendo l’abbinamento per pari complessità di attività delle U.U.O.O. ostetrico-ginecologiche con quelle neonatologiche/pediatriche”.

Realtà sotto i 1000 e a maggior ragione sotto i 500 rischiano di essere poco sicure, clinicamente poco sicure.

Quali sono le sue esperienze o i documenti che supportano la sua tesi? 

Mi occupo di integrazione ospedale territorio da 20 anni, in Italia e all’estero e analizzo tutti i documenti prodotti dalle società scientifiche e dalle agenzie sanitarie a livello mondiale con un costante rapporto con medici, ostetriche e personale dedicato. Ma in particolare vorrei evidenziare il documento che definisce gli stantard per la valutazione dei punti nascita, documento che vede il coinvolgimento della Società Italiana di Neonatologia, Società italiana di Ginecologia e Ostetricia e Società italiana dei medici managet.

La regione Veneto adotta quest’impostazione e in un documento approvato nel 2011 scrive:

I punti parto con bassi volumi assistenziali tendono a fare più cesarei in quanto non dispongono di un team professionale completo disponibile nelle ore notturne e durante i fine settimana. Un altro svantaggio delle piccole unità consiste nel fatto che non permettono ai professionisti più giovani di accumulare sufficiente esperienza in tempi ragionevoli.

Per quanto riguarda le pratiche cliniche, la percentuale di taglio cesareo nel Veneto è vicina al 29%, molto simile a quella della Lombardia, e, pur aumentando progressivamente negli ultimi tre decenni, rimane ben al di sotto della media nazionale. Un altro aspetto importante è la variabilità piuttosto ampia nell’uso delle pratiche cliniche, non solo per il taglio cesareo ma anche per il forcipe e la ventosa, tra unità operative collocate all’interno di ospedali Provinciali o meno.

Il dibattito nella politica e sui mezzi di comunicazione di massa, comprensibilmente e legittimamente, riflette le preoccupazioni dei cittadini e si concentra sull’accesso ai servizi sanitari, cioè sull’aspetto concreto, visibile e misurabile di quanto tempo impiegano a raggiungere l’ospedale. La discussione tende invece ad ignorare le dimensioni più importanti, cioè la qualità e la sicurezza, che rimangono spesso invisibili e comunque difficili da comprendere e da misurare.

In Veneto hanno visto bene: le cose più importanti sono la qualità e la sicurezza che purtroppo piccole realtà non riescono a garantire.

Conosce direttamente il territorio della Val Seriana? 

Si molto bene. Ho vissuto ad Alzano Lombardo, anzi precisamente nella frazione di Monte di Nese e ora  frequento la Valle sia d’estate che d’inverno avendo una casa dal 2007 in alta valle. Conosco la complessità morfologica e viabilistica della Valle.

Cosa dice ai politici locali che sono scesi in piazza contro il decreto del Ministero? 

Il politico giustamente ricerca il consenso e deve rapportarsi con i propri cittadini ma una cosa è la ricerca del consenso, un’altra una analisi tecnica sulla efficacia e sull’appropriatezza delle cure.

I medici devono poter lavorare in sicurezza e devono poter garantire qualità delle prestazioni e per fare questo devo avere una casistica sufficientemente numerosa ed una dotazione di tecnologie e di servizi di supporto adeguati.

Aggiungo inoltre che i politici dovrebbero chiedere maggiormente investimenti sulle cure primarie, sull’integrazione ospedale territorio, sul socio sanitario, l’assistenza domiciliare.

E ai cittadini?

Che il Servizio Sanitario Italiano è il secondo al mondo, i nostri medici sono bravi, molto bravi ma devono essere messi nelle condizione di operare avendo casistiche elevate per poter rispondere al meglio ai bisogni della popolazione. I nostri medici stanno facendo i miracoli con organici sempre più ridotti e con risorse sempre meno adeguate.

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6 Commenti

1 Commento

  1. Gloria

    16 Dicembre 2016 at 17:29

    A proposito di gestione delle emergenze, è stata valutata la tempistica dei trasporto della partoriente in orario di traffico su strade di montagna????
    Va bene la competenza e l’infrastruttura ma le distanze NON vanno trascurate proprio per la sicurezza!

  2. Gloria

    16 Dicembre 2016 at 19:58

    Che competenze medico/scientifiche può avere un professore non laureato in medicina????

    • Redazione Valseriana News

      16 Dicembre 2016 at 21:53

      Buonasera Gloria, il professore Vendramini ha un dottorato di ricerca in Management delle Amministrazioni Pubbliche e si occupa di management sanitario dal 1996.

  3. Gloria

    16 Dicembre 2016 at 22:46

    Appunto non ha una laurea in medicina e le relative conoscenze mediche!

  4. Gloria

    16 Dicembre 2016 at 22:50

    Il professore ha mai fatto un cesareo d’urgenza? I minuti sono preziosi e la strada per raggiungere i centri con più di 500 parti ne fa perdere troppi!

  5. Antonella

    23 Gennaio 2017 at 10:23

    Sono medico anestesista rianimatori e sono totalmente d’accordo con il prof.
    I piccoli centri hanno personale isolato, con poche esperienze e mezzi e devono da soli affrontare delle contemporaneità.
    Olanda 1 unico centro nascita nazionale.
    Scozia: idem: le suggerisce niente?

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