Cultura
Natale con l’Autore, poesie e testi per una giornata speciale
Le poesie e i testi che gli autori amici di Valseriana News ci regalano per questa giornata speciale.
Standing rock. La roccia che si erge nel grembo della terra.
Sui social e sui media di tutto il mondo, e persino in Italia (da un certo punto in poi) la questione “Standing Rock” nel Nord Dakota, Stati Uniti, è diventata il simbolo della lotta delle popolazioni native da oltre un secolo costrette a sopportare soprusi e continue violazioni dei trattati. Tutto nasce con il progetto, ormai quasi realizzato del tutto, della posa di un oleodotto lungo oltre duemila chilometri che per circa il 10% del tracciato dovrebbe passare sotto il fiume Missouri, dove la falda acquifera dei Sioux è garanzia di vita per milioni di persone. Senza mai rispondere alle provocazioni delle milizie private assoldate dalla multinazionale che costruisce l’oleodotto, senza accettare provocazioni dagli agenti di polizia e dell’esercito, migliaia di donne e uomini da oltre cinquecento tribù si sono riunite a Standing Rock e per mesi hanno pregato il Grande Spirito, la Madre Terra, proclamandosi protettori dell’acqua – l’acqua, ovvero il simbolo ultimo della Vita. Davanti ai poliziotti schierati, dialogavano e cercavano di parlare e far capire che erano dalla stessa parte. Mai una parola di odio. Sui social, inviti a non usare rabbia ed energia negativa, per non interrompere questo vero e proprio stato di grazia che ha scongiurato tragedie, grazie a loro, I Primi Abitanti. Davanti alle provocazioni delle autorità – tante – loro pregavano, sentivano la comunione con il bene più grande, la Natura Madre. Poi è arrivata la neve e da qualche giorno si sono diretti a casa, perché ora la lotta prosegue altrove e andava scongiurato il pericolo di un inverno duro. Ciò è avvenuto dopo la agognata decisione del Genio Militare di esprimersi a favore della revisione del tracciato dell’oleodotto. Non è una vittoria, perché il nuovo presidente degli USA, Trump, vuole dire la sua e lui Madre Natura e il Grande Spirito non sa neanche cosa siano. Obama si era espresso contro l’oleodotto, ma ha detto troppo poco per passare dalle parole ai fatti. E la Clinton, è a favore dell’oleodotto. Giusto per chiarire. In tutto il mondo milioni di persone, i popoli indigeni di tutti i continenti, i media, si sono occupate e hanno capito cosa c’è in gioco a Standing Rock. In un momento storico di grande strapotere delle multinazionali, periodo nel quale sarebbe ora di voltare le spalle ai combustibili fossili e proseguire verso una via più ecologica, questi primi abitanti del continente nordamericano hanno dimostrato che non serve altro che il dialogo per arrivare a sensibilizzare l’opinione pubblica. Poche migliaia di persone, che hanno costretto i grandi media, da principio freddi o indifferenti, ad andare a Standing Rock, ad ascoltare, a capire cosa sta succedendo. La lotta è tutt’altro che finita. Ma ha dimostrato che non i numeri, ma la forza dello spirito, può ergersi. Allora mi è venuta in mente quella canzone splendida che pubblicò Robbie Robertson nel 1994, tratta dall’album “Music for the Native Americans”. Si intitola “Ghost Dance”, un riferimento chiarissimo a ciò che accadde alla conclusione delle cosiddette “guerre indiane” di fine ‘800. Una canzone che solleva lo spirito e il corpo e che a un certo punto dice: “non avete possibilità, contro le nostre preghiere”. Ascoltatela, ascoltatela profondamente. E’ l’avvento di Madre Terra che torna: https://www.youtube.com/watch? v=eA0zpemMUow
Davide Sapienza www.davidesapienza.it
I Doni Del Cuore
L’uomo raggomitolato sul marciapiede della quinta strada venne svegliato dal tintinnio della moneta che cade in una tazza. Un uomo dall’aspetto vecchio, capelli lunghi, arruffati, barba lunga, incolta, viso che si vede appena, emergono solo i suoi occhi verdi, persi nel vuoto, tristi. Ricoperto di stracci e giornali, ma questo non gli impedisce di sentire il gelo come milioni di aghi che gli attraversano il corpo. Solo neve attorno a lui e gente che passeggiava sorridente a guardare le vetrine, borbottò qualche parolaccia e si raggomitolò per raccogliere quel poco di calore, dal tintinnio riusciva a riconosce la moneta che lanciavano nella tazza ed ecco mezzo dollaro, si guardò attorno per ringraziare, ma non vide nessuno, era stato uno dei pochi che avesse lasciato così tanto, un altro mezzo dollaro e avrebbe potuto prendere un panino e bere qualche cosa, ma non sopportava quelle persone che lo guardavano come chi avrebbe potuto cambiargli la vita e poi lasciavano cinque centesimi. Dopo un po’ arrivò un altro mezzo dollaro, sembrava fatto apposta, attraversò la strada e al venditore ambulante prese un grosso amburgher e un bicchierone di caffè caldo, tornò a sedersi, lo avvicinò alla bocca per morderlo quando…
“Sarà davvero buono”… un vocione lo lasciò a bocca aperta.
Si voltò, guardò quel vecchio, anche lui vestito di stracci, barba lunga bianca come i capelli lunghi, ma aveva uno di quei cappellini rossi che cadono dietro la testa e terminano con un batuffolo sulla punta cascante”.
A malincuore gli dette mezzo panino:
“Ma tu chi sei? Non ti ho mai visto in zona”
“Beh, una volta ci passavo in fretta, si può dire ..volando”
“Capito, sei anche tu un ex impiegato di una grande azienda licenziato per via della crisi, lo sono anche io”
Lo sguardo del vecchio si fece spietato ma bonario per la menzogna detta.
“Va bene, non proprio, ho fatto un investimento sbagliato”
E lo sguardo del vecchio si fece intenso, come a trapassarlo.
“E va bene, avevo il vizio del gioco, punta questo, punta quello, alla fine ho perso tutto, letteralmente tutto, e non ho avuto più il coraggio di tornare a casa, tu invece?”
Il vecchio sembrava quasi che si stesse ammalando, triste, stanco e provato dalla vita, con un soffio di voce…
“Per il lavoro che facevo a Natale, era il momento culminante, era il Natale che mi dava vita e il Natale viveva con me.”
“Mi sembra che gli affari vadano bene o sbaglio?”
“Si vanno bene, sin troppo” ammise a malincuore il vecchio..
“ormai si compra tutto ciò che si desidera in qualsiasi periodo dell’anno, non c’è più attesa, non c’è più sogno, non c’è più il vero desiderio di qualche cosa che aspetti tutto l’anno, ora i bambini hanno tutto, tutto e subito, che senso ha per me continuare, la magia è scomparsa assieme a me”.
“Non è vero, ti sbagli completamente” disse David convinto e risoluto, rimproverando il vecchio dal profondo del cuore.
“Il Natale esiste ancora, io ho una figlia di 6 anni e adora il Natale, con la Mamma fa i biscotti per Babbo Natale e li lascia perché sa che Lui fa il giro del mondo e si stanca e può avere fame, altri biscotti speciali al cioccolato li appende all’albero, conosce tutte le canzoni natalizie, scrive stupende letterine a Babbo Natale, aspetta sempre prima di aprire i regali, lei a Natale è davvero Felice”.
Commosso al vecchio uscì una lacrima. “Ero sicuro che nessuno credesse più in me.”
David non capì che volesse dire, forse un po’ toccato, in fin dei conti non lo conosceva e soli tra i marciapiedi, l’unica amica è la follia, ma continuò…
“Non sono la persona giusta che forse può dare consigli, ma ti posso dire che devi essere tu, il primo a credere in te stesso”.
“David da quanto tempo non vedi la tua bimba”?
David ricordò l’ultimo giorno vissuto assieme alla piccola, una lacrima le uscì da sola.. guardava in terra, con lo sguardo perso…
“Oggi sono due anni.”
Il vecchio si alzò in piedi con la leggerezza di una farfalla, sembrava ringiovanito e non aveva più l’aspetto dello straccione che si era presentato, frugò nelle tasche, fece cadere trecento dollari vicino la tazza.
“Mangia qualcosa, lavati, prendi qualcosa da indossare, compra un regalo per tua figlia e tua moglie, solo un pensiero fatto con il cuore, i tuoi saranno felici di riabbracciarti, puoi tornare a lavorare e tutto sarà come …meglio di prima…”
David ascoltava e nel contempo guardava quei trecento dollari che lo avrebbero riportato a casa, alza il volto per ringraziarlo, ma non lo vede più, sente solo una risata che si allontana come se rimbalzasse tra la gente. David inizia a piangere dalla gratitudine, gratitudine che non aveva mai provato prima. Pianse perché avrebbe riabbracciato la figlia, la sua famiglia.
Quella sera e per tutta la notte successiva accadde a molti di ricevere doni inaspettati da un vecchio signore con la barba e tante vite ebbero a cambiare grazie ai suoi piccoli gesti. A nessuno disse il suo nome, ma ognuno di essi, nel profondo del proprio cuore, seppe chi ringraziare.
Selene Rossi
Filastrocca
Natale arriva e passa.
Si porta via la frenesia,
lascia una scia di malinconia.
Piccola cosa è l’umana follia.
Restiamo carichi di doni donati,
scartati, piaciuti, sbagliati.
Un soffio.
E ogni cosa ritorna
al suo posto nascosto.
(Poesia tratta dalla silloge “Il soffio delle stagioni”)
Maria Cristina Sferra
Poesia
Il miracolo si compie ancora
Il profumo speziato d’un sogno,
un albero spento che d’improvviso
s’accende e illumina la notte Santa,
mentre il miracolo si compie ancora.
Una stella che passa indicando
con la sua coda la via maestra
a chi da lontano giunge in silenzio
ad adorare il figlio del re senza corona.
È s’ode un tripudio di vita che arde
e scalda anche il cuore di chi
al miracolo d’amore non crede
ma in cuor suo sogna un mondo migliore.
Alessandra Bucci
Il sapore del Natale
Il Natale odierno ha il gusto della plastica… è colorato, luminoso, luccicante ma insapore.
Penso al Natale di quando ero piccola e all’atmosfera che respiravo: ricordo un piacevole aroma. Una fragranza che entrava nelle narici e anticipava magie impalpabili, creando sensazioni che non riguardavano il palato ma andavano oltre.
Ora tutto appare forzato, guidato, come se qualcuno decidesse che, essendo Natale, occorra essere diversi… da cosa? Dall’indifferenza esternata negli altri 364 giorni, trasformandosi a un tratto in persone empatiche e premurose?
Mia madre raccontava il Natale di bambina di tanti anni fa, nelle campagne di un piccolo paese, quando aveva poco o nulla: luci, regali e strenne erano sconosciuti.
I ragazzi si recavano nel bosco a tagliare un ramo di pino, lo piantavano davanti a casa e lo addobbavano con oggetti che oggi sembrano ridicoli: noci, mele, caramelle e, per chi se le permetteva, arance.
I rami di pino si piegavano, carichi di quelle prelibate decorazioni, e toccavano il terreno.
Mia madre un giornò ebbe una brillante intuizione.
Prese due rami e li incrociò tra loro, in modo da formare una struttura che rimaneva dritta nonostante il peso della frutta.
Una cugina che abitava vicino rimase esterrefatta quando si accorse dell’originale alberello. Non disse nulla ma il volto esprimeva la rabbia e il fastidio dell’invidia e l’atteggiamento di chi non è capace di apprezzare l’altrui opera riconoscendone bellezza e funzionalità. La ragazzina corse subito a casa per disfare il suo ramo e ricopiare ciò che aveva visto.
I valori positivi sono patrimonio di tutti, a cui ognuno può attingere: è bello condividere, scambiare suggerimenti e idee, ma la correttezza vuole che se ne riconosca la paternità.
«Che bello! Sei stata davvero brava! Posso farlo anche io?»: questa sarebbe stata la frase da esternare tra persone amiche.
Il Natale moderno è diventato più ricco e tante cose sono cambiate ma una purtroppo è rimasta uguale: la grettezza e la malevolenza umana.
Quell’aridità che porta a invidiare le conquiste altrui, che impedisce di essere contenti per e con gli altri.
Non è il possesso che crea felicità ma condividere l’atmosfera di un attimo, assaporando la scintilla di calore che un piccolo ramo di pino addobbato può produrre, indipendentemente da come è stato piantato… un sapore da imparare a gustare e sorseggiare tutto l’anno per migliorare la qualità della vita.
Paola Iotti
Santa Lucia
(Ricordi di un bambino degli Anni Cinquanta sulle montagne bergamasche, Altopiano di Selvino Aviatico, borgata di Amora Bassa)
La mattina di Santa Lucia, “Santa Lösséa” in bergamasco, accanto all’urna di vetro della Maria Bambina Nascente (dono di nozze ricevuto da mia mamma Elisa, come tutte le spose del tempo) accanto alla quale la sera prima erano stati deposti una ciotola d’acqua e una manciata di fieno e “miscèla” – la farina data alle mucche- per l’asinello, noi bambini scoprivamo i doni: quaderni, matite, oppure i “basì”, caramelline zuccherate che venivano trovate anche sparse sulle scale, come fossero state davvero dimenticate dalla Santa.
La sua notte “l’è la piö lónga che ghe séa” è la più lunga che ci sia, perché fino al XIV° secolo e prima della Riforma del calendario attuata nel 1562 da Papa Gregorio, il 13 dicembre coincideva con il solstizio d’inverno, quindi una notte lunga, come la trepida attesa che tiene svegli fino a tardi i bambini di ogni generazione, nella sofferenza di resistere al sonno e alla tentazione di spiare la Santa che giunge con “l’asnì”, l’asinello.
L’ultima Santa Lucia è arrivata quando ero in quarta elementare e consisteva nel mio primo camioncino di plastica gialla, bellissimo. Non potevo credere ai miei occhi. Lo rimiravo e lo rimiravo estasiato senza parole, a lungo incredulo che davvero la Santa si fosse ricordata anche di me, piccolo bambino di montagna, abituato solo ad andare su e giù lungo le mulattiere, tra la casa, la stalla e i campi.
Mia sorella invece ricevette una bacchetta di legno dipinta d’argento: per lei fu un enorme dolore scoprire che probabilmente non si era comportata correttamente. Ma anche quello strano dono era meraviglioso, brillante, luccicante. Alla fine, invece di rimanerci male, mia sorella lo usava come spada, come scettro, come bandiera, e ne era orgogliosa.
Più tardi però, durante una delle solite sere in cui si recitava il rosario, ed io per non cadere addormentato inseguivo le ombre con gli occhi o le faville nel camino, notai che l’argento della bacchetta era lo stesso usato per ridipingere ad ogni primavera le canne della stufa in cucina. Solo che il colore della bacchetta di mia sorella era più nuovo, non scurito dal fumo.
Anche per il giocattolo trovai una spiegazione: le mie sorelle cominciavano a lavorare agli Honegger di Albino e probabilmente l’avevano osservato in una vetrina del “Risöl” già da alcuni mesi. Avevo scoperto il mistero.
L’anno successivo mi alzai impaziente e ciabattai fino alla camera Bella tra il “barbèlà de frècc”, il tremare di freddo, ma vicino all’urna non c’era nulla: avevano capito che io sapevo.
Scesi da basso e ritto nel mio corto pigiama di flanella, soffocando il groppo in gola che rischiava di sommergermi, esclamai alle donne indaffarate in cucina: “Me adès ‘ndò a servì mèsa. (Io adesso vado a servire messa) Quando torno voglio trovare i miei doni”.
Ancora oggi rivedo gli occhi azzurri pieni di dispiacere di mia madre, muta davanti a me, le sue mani screpolate che serravano tremanti la “bigaröla”, il grembiule. Al ritorno dalla chiesa trovai alcuni mandarini, due arance, qualche noce, ma per me l’infanzia era finita.
Aurora Cantini (sulla base di una testimonianza vera)
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