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Cronaca

La stoccata della Curia sull’autonomia: “Il Referendum non serve per avviare una trattativa col Governo”

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Anche la Curia di Bergamo si esprime in merito al Referendum sull’autonomia lombarda con un’opinione che non lascia spazio ad interpretazioni: “Il Referendum non è necessario per avviare una trattativa col Governo”.

Il Referendum sull’autonomia lombarda del 22 ottobre è al centro di un lungo documento pubblicato sul sito ufficiale della Curia di Bergamo che in questo modo si esprime in merito alla consultazione politica che riguarderà anche i cittadini bergamaschi.

Il documento, di cui riportiamo gli estratti più salienti divisi per argomenti, è stato rielaborato dall’Ufficio Pastorale Sociale e del Lavoro.

Si tratta di uno strumento per comprendere meglio la proposta referendaria alla quale saremo chiamati nei prossimi giorni. Ci piace pensare che sia utile alle nostre realtà ecclesiali associative e comunità parrocchiali, come anche a tutti i gruppi informali o istituzionali che desiderano informarsi e formarsi per andare oltre la superficie che spesso porta a comprendere male e quindi travisare contenuti e scelte. E’ stato preparato con l’aiuto di persone competenti, che pur nella brevità dei contenuti, non tralasciano di evidenziare i passaggi fondamentali.

Da subito il testo entra nel merito della consultazione e degli obiettivi che ha: come specificato dalla Curia, si tratta di un Referendum legittimo ma non obbligatorio per aprire una trattativa sull’autonomia con il Governo centrale .

Il 22 ottobre 2017 gli elettori lombardi saranno chiamati alle urne per un referendum consultivo, indetto per decisione del Consiglio regionale con DCR 17 febbraio 2015, n. X/638 “Indizione di referendum consultivo concernente l’iniziativa per l’attribuzione a Regione Lombardia di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione”.

Il dispositivo del referendum si riferisce all’avvio di una trattativa col Governo centrale, per aprire la quale in realtà non è richiesta una consultazione preliminare dell’elettorato: la stessa Regione Lombardia nel 2006 attivò autonomamente una procedura in tal senso e giunse all’apertura di un negoziato ufficiale nell’ottobre 2007. L’operazione si impaludò nella crisi del Governo Prodi e fu lasciata cadere dal successivo Governo Berlusconi (di cui Maroni e Zaia erano ministri).

Oggi, a differenza di 10 anni fa, “l’espressione favorevole della popolazione regionale” è stata considerata politicamente “indispensabile e necessaria per l’assunzione di un provvedimento specifico del Consiglio volto alla richiesta di attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” (così la citata DCR 17 febbraio 2015, n. X/638); per questo si è aggiunto un passaggio in più, il referendum appunto, politicamente legittimo ma estraneo alla procedura.

Il quesito

Si interpellano quindi gli elettori lombardi affinché si dichiarino favorevoli o contrari alla richiesta di maggiore autonomia in tutti gli ambiti consentiti dall’art. 116, terzo comma, della Costituzione: “Volete voi che la Regione Lombardia, in considerazione della sua specialità, nel quadro dell’unità nazionale, intraprenda le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione e con riferimento a ogni materia legislativa per cui tale procedimento sia ammesso in base all’articolo richiamato?”

La “specialità” della Lombardia (termine che ha sollevato interrogativi e perplessità) non va intesa come analoga a quella delle Regioni a statuto speciale, ma come relativa al ruolo nazionale che essa riveste, e toccherebbe quindi “la dimensione economico-produttiva e la capacità fiscale … che certificano l’oggettiva “diversità” della Lombardia, che possiede di gran lunga tutti i requisiti per meritarsi una maggiore autonomia politica e amministrativa poiché vanta degli ineguagliati e ineguagliabili tassi di virtuosità” (secondo quanto afferma la recente deliberazione del Consiglio regionale n. X/1531 del 13 giugno 2017).

Le materie nelle quali Regione Lombardia vorrebbe più autonomia

1) norme generali sull’istruzione; tutela dell’ambiente e dell’ecosistema; tutela dei beni culturali; organizzazione dei giudici di pace (che attualmente sono attribuite alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, in base all’art. 117, comma 2, Cost.)

2) rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni (non la politica estera complessiva); commercio con l’estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione (salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale, già oggi di competenza regionale); professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi; tutela della salute e organizzazione sanitaria; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; previdenza complementare e integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale (che attualmente sono attribuite alla potestà concorrente di Stato e Regioni in base all’art. 117, comma 3, Cost., con il primo chiamato a fissare i principi fondamentali – ma di fatto portato a disciplinare l’ossatura di ciascuna materia – e le seconde le norme più specifiche e di dettaglio).

Gli effetti

Nella parte finale del testo l’analisi diventa ancora più critica visto che, con questo tipo di referendum, è difficile ipotizzare che una trattativa, qualora venga intrapresa, sia realizzata dagli organi istituzionali in scadenza quali sono quelli attuali.

Il referendum, che in Lombardia (diversamente dal Veneto) non richiede alcun quorum di partecipazione, ha natura consultiva: il suo risultato, positivo o negativo, non sarà giuridicamente vincolante e comunque si indirizzerà soltanto agli organi regionali e non a quelli statali, con i quali la Regione dovrà poi trattare.

In pratica, esso avrà soltanto effetti politici, legati non solo al voto ma anche al numero di elettori che sceglierà di esprimersi: l’esito della consultazione acquisterà un valore diverso a seconda del dato dell’affluenza alle urne. E’ evidente che una vittoria del sì ottenuta con una larga partecipazione darebbe alla Regione maggior forza (o minore debolezza) nella trattativa con il Governo nazionale. Al contrario, una bassa presenza alle urne sarebbe interpretabile come segno di disinteresse, se non di contrarietà. Questo referendum può, quindi, essere considerato un’arma a doppio taglio che la Regione ha scelto di impugnare.

In ogni caso il Governo è tenuto soltanto a trattare (a seguito della richiesta del Consiglio regionale, non dell’espressione popolare referendaria) ma non è obbligato ad accettare le richieste regionali, né a concludere un accordo a tutti i costi, dovendo perseguire l’interesse complessivo degli italiani e dovendo considerare i riflessi di una eventuale maggiore autonomia lombarda sulla condizione delle altre Regioni. Tra l’altro dovranno essere sentiti anche gli enti locali lombardi (Comuni, Province, Città metropolitana), che potranno così esprimere il loro parere.

Inoltre, l’eventuale e non scontata intesa che venisse sottoscritta fra gli esecutivi statale e regionale dovrà essere trasfusa in una legge statale approvata da ciascuna Camera del Parlamento a maggioranza assoluta, ossia col voto della metà più uno dei componenti (mentre per approvare le altre leggi ordinarie basta la maggioranza semplice, cioè che i favorevoli siano più dei contrari).

Insomma, questo tipo di referendum non incide direttamente sull’ordinamento, non abroga una legge in vigore né completa l’iter di una proposta, ma nemmeno vincola il Consiglio regionale a deliberare. Evidentemente potrà assegnare (o meno) un mandato politico, i cui tempi d’attuazione sono incerti e certamente lunghi. Benché non sia giuridicamente vietato, difficilmente entreranno nel vivo della trattativa organi istituzionali in scadenza quali sono quelli attuali, dato che tanto il Governo e il Parlamento nazionali che il Presidente e il Consiglio regionali saranno rinnovati nei primi mesi del 2018.

Leggi tutto il documento qui.

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