BERGAMO
In calo i negozi di vicinato: 317 chiusi in un anno in provincia di Bergamo
In provincia di Bergamo 317 negozi in meno in un anno, 1360 dal 2010. Cisl: “Serve più coraggio dai Comuni”
Si chiamano negozi di vicinato, e per tante persone, non solo anziane, residenti nei paesi più piccoli, rappresentano una risorsa fondamentale: un riferimento sicuro e accessibile per chi ha problemi di spostamento anche perché offrono di tutto o quasi, dai generi alimentari ai tabacchi. O meglio, rappresentavano, perché, in un solo anno, in provincia di Bergamo se ne sono persi 317, e 34 di questi tra i soli alimentari. Nella sola città capoluogo, le chiusure definitive delle saracinesche hanno interessato 79 negozi, di cui 8 alimentari.
Nel 2010, su tutta la provincia, il totale degli esercizi commerciali “di paese” superava le 12.000 unità. Il censimento di Regione Lombardia nel 2018 ne ha contati 10737, con un saldo negativo di 1360 negozi. A Bergamo città, si è passati dai 2876 di 9 anni fa ai 2212 di oggi.
“Non credo che un’amministrazione comunale abbia limitate possibilità all’interno degli strumenti di pianificazione territoriale per verificare effettive possibilità di progetti utili a rivitalizzare i centri urbani. E’ fuori discussione che la concorrenza dei centri commerciali pesi sulla decisione di una famiglia di chiudere la bottega dopo anni di onorato servizio. Invece, sarebbe assolutamente importante non perdere la tradizione dei negozi di vicinato, un punto di incontro per coloro che abitano il centro, a partire dagli anziani che magari fanno più fatica a muoversi”. Roberto Corona, segretario provinciale di FNP CISL, legge con sincera preoccupazione i dati sulla moria di esercizi commerciali a servizio della rete cittadina, e spera che le prossime amministrazioni sappiano far partire politiche capaci di rilanciarli, “nell’ottica di una città a misura dei cittadini più deboli, che tengono in vita i centri storici, ma che spesso vengono dimenticati dalle scelte urbanistiche e economiche. Anche tanti giovani, in mancanza di lavoro, tentano di aprire nuove attività: purtroppo, devono fare i conti con affitto, bollette, tasse e spese burocratiche. La politica dovrebbe invece sostenerli, specie nel periodo dell’avviamento. Le ragioni dell’inarrestabile ritirata dei negozi di vicinato, infatti, sono da ricercare proprio nelle eccessive restrizioni e tasse oltre a carichi burocratici. In altri paesi dell’UE basta un solo permesso per aprire una nuova attività, da noi ci vogliono almeno 4 passaggi differenti con almeno tre enti coinvolti. È su questo versante che un’amministrazione che vuole avere prospettive lunghe deve muoversi”.
“Viviamo in una società che invecchia , cambiano i bisogni, cambiano i rapporti con le persone e nello stesso tempo le stesse hanno sempre più difficoltà ad integrarsi con il nuovo che avanza – continua Corona. Cosa si può proporre? Primo, fare un attento monitoraggio dei bisogni delle persone che vivono nei centri urbani. Incrementare le azioni di riapertura di negozi di vicinato attraverso investimenti intergenerazionali, affiancare alle attività già avviate giovani intenzionati ad attivarsi in quelle realtà dando a loro supporti logistici ed economici attraverso interventi delle stesse amministrazioni pubbliche, che vuol dire lavorare insieme per rigenerare attività imprenditoriali e lavorative e non ultimo rigenerare un concetto di convivialità comune.
Bisogna impegnarsi in questa strada soprattutto con i giovani, affinché conoscano la filiera delle varie attività dal prodotto sino alla sua consegna, lavorando insieme e calmierando i costi di gestione, fornendo cioè affitto dei locali con una partecipazione dell’amministrazione e delle varie istituzioni, rivitalizzando i centri urbani cercando di risolvere problemi sociali quali le relazioni tra le persone”.
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