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Cronaca

L’incubo di perdere un padre senza dirgli addio

Quella di Roberta è la storia di molte persone che si sono trovate con i genitori in salute, morti pochi giorni dopo in ospedale.

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Raccogliamo e condividiamo la toccante testimonianza di Roberta che ha perso il padre 72enne di Colzate per il coronavirus.

Una tragedia, quella della perdita di un famigliare senza potergli dare un ultimo saluto, che sta toccando numerose famiglie della Val Seriana, loro malgrado travolte da un’emergenza sanitaria senza precedenti.

Quella di Roberta è la storia di molte persone che si sono trovate con i genitori in salute, morti pochi giorni dopo in ospedale.

Il padre infatti stava bene fino a prima di ammalarsi ma, nonostante gli sforzi dei sanitari, non ce l’ha fatta. In una lettera che spezza il cuore, Roberta ricostruisce con lucidità gli ultimi dolorosi giorni e chiede a tutti la condivisione della sua storia affinché le persone capiscano di tutelarsi per non rischiare di fare la stessa fine di suo padre.

La lettera di Roberta

Voglio condividere con voi quello che stanno provando tantissime persone come me in questa pandemia, che sta portando via troppe vite ingiustamente. Non potete capire cosa stiamo proviamo  noi famigliari per una persona morta di coronavirus. E cosa provano i medici, le infermiere che ogni giorno, insieme a noi, vedono questo strazio con i loro occhi. 

Voglio raccontare questa sofferenza che io ho provato e che da settimane  migliaia di famiglie stanno vivendo. Ed e’ un incubo. Surreale. Delirante. Il malato inizia a stare male a casa e si chiama l’ambulanza. Sintomi da coronavirus. Diretti in ospedale per controlli e tampone. Una volta ricoverato, il malato di corona virus, non possiamo più vederlo e sentirlo. Si chiamano  solo i dottori telefonicamente che ti aggiornano sulla situazione, peggioramenti o miglioramenti. 

Il virus è veloce, arriva ai polmoni rapidamente e l’unica soluzione è il casco respiratorio. I polmoni però dovevo reagire. Il paziente deve essere forte.

Quel paziente ha contatti solo con il personale medico, tutto coperto per non infettarsi. 

Il paziente non vede e sente da giorni i suoi famigliari, non sente le loro voci, non può toccare pelle a pelle la mano di nessuno. Nessun abbraccio. Nessun contatto umano o comunque il meno possibile. Anche i medici restano impotenti vicino a questa cosa. Ma non ci posso fare niente. Il virus è forte. Non possono mettere a rischio la vita dei famigliari.  Il virus è veloce. Invisibile. Letale.

Il malato a questo punto è in una situazione difficile: non riesce a respirare, si sente debole e vede spegnersi il suo vicino di stanza. Lo portano via in barella. E’ morto. L’aria della camera si fa pesante. L’ansia inizia a salire, i pensieri diventano cupi, la voglia di vivere inizia a essere mangiata dalla paura di non farcela. Toccherà a me? Farò la stessa fine? E se la mente è debole, il corpo risponde di conseguenza. Il respiro non c’è più,  la confusione e poi il nulla. Il battito si ferma. Lì. In un letto d’ospedale con a fianco medici e infermieri , ma senza la tua famiglia. Senza tua figlia o tuo figlio che ti fanno coraggio e ti dicono: “forza papà, sono qui, supereremo anche questa”. Quando il malato muore ti avvisano con una chiamata, ma il cervello non ci crede. La mente è strettamente legata alla vista e vuole vedere per credere. Visto che non può vedere, inizia a fare mille domande: “Dottore è sicuro ? Tra tutti i malati che ha è proprio mio padre? Giuseppe Zaninoni ? Può veder bene ? Controlli la cartella. Mi dica. Mio papà ne ha passate tante, é forte, io lo so”.

Niente da fare. E’ proprio tuo padre. E’ il tuo caro. Il virus ha vinto. Ma tu vuoi sapere. “Come è andata? Cosa ha fatto gli ultimi momenti ? Ha chiesto di noi ? Cosa diceva? Quali sono state le ultime parole?” “VOGLIO ANDARE A CASA”. E così capisci che ormai non poteva più stare lì, che la sua mente e il suo corpo si sono spenti con il pensiero di casa, di famiglia,di amore. Di voglia di tornare al nido. Quel nido che ti fa sentire protetto, amato, rassicurato. Quell’abbraccio che noi famigliari non abbiamo potuto dagli. Perché quel virus maledetto deve fermarsi. Non può infettare ancora. Non può vincere ancora. Il virus è forte. Papà, da solo, debole. Avrà cercato conforto negli occhi di quel povero dottore  che ogni giorno vede spegnersi così tante persone e che deve dare la notizia ai parenti telefonicamente. Dio solo sa le urla di dolore che avrà sentito in quel cellulare.

Il cadavere è lì. Bisogna portarlo via. Fare posto ad un altro che forse si salverà. Forse.

Il cadavere viene messo in un sacco nero e portato con gli altri. La lista di attesa per la cremazione è di 10 giorni. “Troppi morti. Non c’è posto. Solo ieri ho dovuto chiudere 60 bare” ci dice il signore delle pompe funebri. Il funerale non si può fare, non si può rischiare che le persone si incontrino e si infettino.

Il virus non deve vincere. Dobbiamo soffrire in silenzio, a casa, senza abbracciare un fratello, una sorella, un’amica. Dobbiamo farci forza e mandare il messaggio ancora più forte: STIAMO A CASA. BLOCCHIAMO IL VIRUS. INSIEME. VINCIAMO NOI LA BATTAGLIA CHE OGNI GIORNO CENTINAIA DI PERSONE PERDONO. FACCIAMO IN MODO CHE LA LORO MORTE NON SIA INVANA.

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3 Commenti

1 Commento

  1. Giuseppe Siepi

    15 Marzo 2020 at 12:20

    Un forte abbraccio. Anche qui al Sud sta arrivando e tutti siamo preoccupati per i nostri anziani genitori. Ti sono empaticamente vicino. Ciao

  2. Giada

    15 Marzo 2020 at 12:25

    Mi son venute davvero le lacrime agli occhi

  3. Fabio

    15 Marzo 2020 at 20:29

    Scusate il commento fuori dal coro.
    Capisco lo spirito che abbia animato questa povera ragazza a condividere la sua straziante esperienza, così come capisco il vostro nel condividerla.
    Capisco che il fine ultimo sia sensibilizzare e spingere a stare a casa.

    Però è al tempo stesso un racconto che terrorizza chi come me ha appena portato suo padre in ospedale, colpito dal virus. Perché mi dice che potrebbe morire senza che io possa più vederlo, e tra strazianti agonie.

    Purtroppo questo racconto non aiuta a migliorare la situazione dei ricoverati e dei loro parenti. Non si può fare niente, non li si può andare a trovare e non esiste una cura al momento.

    Ripeto: non voglio che sembri un’accusa di poca sensibilità, ma chi ha un parente ricoverato vorrebbe sentirsi dire che andrà tutto bene, come ci diciamo a gran voce sui social, e non che suo padre tra poco morirà affogato da solo senza poterlo vedere.

    Per favore, condividete tutto ma non questi messaggi, se potete.
    Grazie di cuore ❤️

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