Cronaca
Farmacista a casa senza diagnosi scrive alla Regione – l’email
Farmacista a casa senza diagnosi scrive alla Regione. La speranza è che si possa migliorare la gestione di questa grave crisi.
Tra le varie categorie che si sono trovate a combattere questa emergenza sanitaria senza armi ci sono i farmacisti. Anch’essi in prima linea, spesso hanno contratto il Coronavirus senza le necessarie tutele particolari.
Riceviamo e pubblichiamo la lettera di una farmacista che vive e lavora in Val Seriana che scrive: “Leggo con attenzione le denunce dei cittadini bergamaschi che vogliono con orgoglio e fermezza avere delucidazioni in merito a ciò che è successo nella nostra Valle. Credo che ogni contributo sia essenziale per uscire da questa grave crisi. Pertanto vi inoltro il testo della mia mail spedita dalla mia PEC venerdi 27 marzo alla attenzione dell’assessore al Welfare Giulio Gallera, al presidente Attilio Fontana e a Mandelli (a cui ancora non è pervenuta risposta ) per denunciare ciò che mi è successo a febbraio – marzo. Buon lavoro e grazie per gli articoli che state pubblicando per tutti noi che siamo a casa!”.
Dunque ci chiediamo, se il tampone e dunque una diagnosi certa non viene fatta neppure ad una farmacista, una persona che dovrebbe tutelarci, non eventualmente infettarci, qualcosa continua a non funzionare?
Speriamo nella risposta della Regione, che si sta impegnando ad estendere i tamponi e a potenziare, insieme ad Ats, l’assistenza domiciliare.
La lettera
Gentilissimi, sono la Dottoressa Maura Veraldi, direttrice di una piccola farmacia della Val Seriana, epicentro della attuale emergenza sanitaria. Non credo, ma spero, che la seguente mail verrà presa con le dovute considerazioni, ciononostante vorrei esporvi la mia situazione. Mi sono ammalata il giorno 17 febbraio, qualche giorno prima il famoso paziente1. Ho accusato sintomi di febbre, leggero mal di gola e una repentina anosmia e disgeusia, oltre che a dolori muscolari e senso di pesantezza e oppressione al petto. Ho lavorato in farmacia fino al 21 febbraio, giorno in cui ho iniziato a stare sempre peggio.
Sono riuscita ad arrivare in guardia medica a Gandino domenica mattina 23 febbraio dove la diagnosi è stata di forte sinusite. La sera stessa (probabilmente dopo avere letto della chiusura del p.s. di Alzano e del Covid19 anche in bergamasca) la dottoressa della guardia medica si è recata presso il mio domicilio e mi ha invitata a iniziare un antibiotico e a chiamare il numero verde per l’emergenza coronavirus. Ha avuto il sospetto potessi avere altro che una semplice sinusite. Il numero verde era sempre occupato.
Il giorno seguente il mio medico, dopo avermi visitata, mi ha invitata a svolgere la quarantena presso il mio domicilio in maniera precauzionale visto il numero di anziani e pazienti fragili con cui sono a contatto ogni giorno. Nelle settimane successive ho contattato più volte il numero verde. La prima risposta che mi è stata data è che il tampone non me lo avrebbero fatto poiché le possibilità di essere entrata in contatto con il covid19 erano le stesse di un viaggiatore in metropolitana ( probabilmente pochi sanno cosa fa un farmacista in una piccola farmacia di quartiere) e che non essendoci una cura dovevo starmene a casa. La seconda volta mi è stato risposto che se non avessi avuto la certezza di un contatto con un positivo non me l’avrebbero fatto( nonostante avessi comunicato il mio stato di malessere continuo e la vicinanza in farmacia con dei clienti asiatici che non parlavano italiano ma che cercavano mascherine) La terza volta mi è stato detto che dopo 14 giorni dal primo sintomo non si era più contagiosi e dunque potevo tornare al lavoro. Peccato che la mia febbre sia andata avanti x circa 25 giorni dopo il primo episodio.
Fortunatamente dopo circa 6 settimane inizio a stare meglio. Fortunatamente, perché per altri colleghi l’epilogo non è stato come il mio. Ora mi chiedo e vi chiedo un paio di cose. È possibile che un farmacista debba essere considerato operatore sanitario quando “fa comodo” e cassiere oppure viaggiatore in metropolitana in altri casi? E come è possibile, che nessuno nonostante le mie continue chiamate mi abbia invitata a fare un tampone, non tanto per proteggere me, ma i circa 5000 abitanti di un paese con cui sono a stretto contatto? Sono rimasta a casa tante settimane senza avere una diagnosi certa, con poche indicazioni terapeutiche, che fortunatamente grazie alle mie conoscenze sono riuscita a gestire e grazie alla collaborazione del mio MMG che non potendo darmi risposte certe contattava quanti più medici a lui conosciuti per unire le forze e cercare di capire insieme l’approccio migliore da adottare.
Io mercoledì 1 aprile, se la convalescenza proseguirà bene, rientrerò al lavoro. Senza la certezza di un tampone positivo e ancor meno con la sicurezza, per il pubblico, di un tampone negativo. Rimetto a voi questa denuncia, nella speranza che si possa farne tesoro e migliorare la gestione di questa grave crisi. Spero con tutto il cuore che nessun altro collega, impegnato al fronte di questa lunga battaglia, si trovi a vivere quello che io e la mia famiglia in queste lunghe settimane abbiamo trascorso.
Con tutta la stima, Cordiali Saluti D.ssa Maura Veraldi
Ps: spero che a breve tutti i farmacisti vengano riforniti di tutti i DPI a loro necessari per affrontare questa grave crisi che deve essere lo stimolo per migliorare il nostro sistema sanitario e il nostro sistema farmaceutico.
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Maria
31 Marzo 2020 at 9:43
Sono una collega e lavoro come libera professionista a Milano su più farmacie. Sono in quarantena volontaria dal 5 Marzo e ho seguito lo stesso calvario. Dopo ripetute chiamate a più numeri:verde, ATS, della regione. Chiamati anche dalla mia dottoressa di base , mi è stato detto che non potevo fare il tampone perché i sintomi erano lievi e qualcuno mi ha chiesto nome e cognome della persona con Covid-19. Mi sto curando grazie alle mie conoscenze scientifiche. Sto ancora male.
Alex
31 Marzo 2020 at 10:05
C’è molta confusione in tutto. Ho assistito mio padre fino alla fine, si è spento il 25 marzo. Il tampone gli è stato fatto il 18, quando è stato ricoverato e poi dimesso dopo 3 ore. Ho spiegato all’operatore ATS che secondo me era più logico se la quarantena iniziava quando mio padre fosse guarito o deceduto. Dovendolo assistere giorno e notte, con tutte le cure del caso, avrei potuto contagiarmi anche dopo il 18. La risposta è stata: questa è la procedura, la data di riferimento è il 18 quindi la quarantena finisce il 1 aprile. Quindi il 2 aprile posso tranquillamente tornare al lavoro, tornare dai miei figli che non vedo da giorni, dopo solo una settimana dalla scomparsa di mio papà, decesso causato da polmonite covid19.
Non sono ne medico ne esperto in materia. Ma sono certo che la situazione è andata fuori controllo e c’è molta confusione
roberto coter
31 Marzo 2020 at 12:35
BUONGIORNO……………..e non lo è
Dispiace sentire e leggere testimonianze, probabilmente, non hanno capito la gravità e come adottare misure per il contenimento della situazione sanitaria, mi sembra abbastanza grave visto i numeri dei decessi che ci sono stati in bergamo me valli….
speriamo vengano illuminati e prendano provvedimenti ……………
SPERO…………………………-.-