Cronaca
Clusone, Mons. Borlini “90 defunti in due mesi, oltre il dolore c’è senso di comunità”
L’intervista a Monsignor Borlini: “A Clusone 90 defunti in due mesi ma oltre il dolore c’è il senso di comunità”.
Mons. Giuliano Borlini è arciprete presso la parrocchia di Clusone. Lo abbiamo intervistato ed egli ci affida queste riflessioni sul periodo drammatico vissuto dalla sua comunità, a cui ha risposto con vicinanza e solidarietà verso le famiglie colpite.
L’intervista
Con Mons. Borlini partiamo dall’inizio, dai primi momenti drammatici in cui il virus ha iniziato a diffondersi nella Comunità della Val Seriana.
“Quando è scoppiata l’emergenza, io mi trovavo a casa con la febbre. Perciò il fatto che arrivassero numerose telefonate da parte delle agenzie di pompe funebri mi aveva stupito parecchio. Sto parlando del periodo dal 25 febbraio in poi. Di continuo arrivavano questi avvisi, queste chiamate, per concordare le esequie per queste persone. Allora mi sono detto: qui c’è in ballo qualcosa di veramente pesante che sta intaccando tutta la Comunità. Già dall’inizio mi arrivavano notizie di ricoveri da parte di persone giovani o abbastanza giovani. Poi è cominciato anche il problema della casa di riposo dove ci chiamavano continuamente per decessi avvenuti nella Comunità di Clusone”.
Le chiamate che arrivano sempre più frequenti, il virus che all’improvviso sconvolge i gesti quotidiani, il dolore che irrompe con forza nelle dinamiche di vita familiare. Per Mons. Borlini non è stato facile. Affrontare così tanti lutti in così poco tempo è stato un avvenimento nuovo e inaspettato anche per lui. E poi, non s’impara mai a gestire il dolore. Il dolore si subìsce, in quei momenti. Non ci si può abituare a vuoti così assordanti.
90 defunti in due mesi, un dolore infinito
“Noi siamo abituati a una media di 80 defunti da gennaio a dicembre. Quest’anno complessivamente, nel giro di 2 mesi, siamo già intorno ai 90. Questo virus si è manifestato in maniera sorprendente ma al tempo stesso dolorosissima perché nello stesso giorno è capitato di avere anche 8 persone a cui dare il saluto attraverso le esequie”.
L’ultimo saluto al defunto, oltre che un momento di preghiera vissuto nella fede, è un momento importante nella vita dei defunti. Un gesto di umanità e compartecipazione. Ma è stato uno di quei gesti spesso negati, in questo periodo straniante di pandemia, fatto sempre più di atti e sempre meno di gesti; di affetti spezzati e sepolture in solitudine. E invece la parrocchia, a Clusone, non ha mai fatto mancare alle famiglie questo amore per la fine, quella solidarietà nell’ultimo saluto.
Un momento di preghiera per ogni defunto
“Fin dall’inizio, anche quando le prassi sanitarie imponevano di fare alla svelta, io ho sempre dedicato un momento, perlomeno un quarto d’ora di preghiera, all’interno della chiesa della Crocetta. Lo abbiamo garantito a tutte le persone, a meno che i parenti non gradissero questa preghiera. Ho sempre voluto una cerimonia dignitosa per il defunto, per offrire un momento di conforto ai familiari”. L’impossibilità di qualsiasi contatto umano nella celebrazione dell’eucaristia è stato un altro aspetto “disumano” di questo periodo.
Anche qui, tuttavia, Mons. Borlini non ha mai fatto mancare il suo apporto alla Comunità. Un riferimento serve, in una fase di così tanto dolore e solitudine. “Mi sono tenuto in contatto con la mia Comunità soprattutto attraverso i social, perlopiù con riprese youtube. Alla domenica, noi sacerdoti abbiamo continuato a celebrare la messa, ovviamente senza nessuna persona presente, ma con diretta in streaming. Questo ha reso possibile che noi ogni domenica fossimo presenti nelle case delle persone. E la cosa è stata molto gradita. La tecnologia ci ha permesso di mantenere un filo di collegamento con la nostra comunità, oltre alle tante altre iniziative che l’oratorio ha fatto nei confronti dei bambini e dei ragazzi. Anche adesso, a maggio, ne faremo ancora per mantener vivo questo contatto, per quanto ci sarà possibile. Sembra che ci sia un certo seguito, e questo ci riempie di gioia”
Una comunità falcidiata che ha risposto con umanità e conforto
In questo periodo di sofferenza, molte famiglie si sono sentite sole nel loro dolore. Ecco perché si è pensato che queste iniziative potessero aiutare. Il vuoto per le perdite è grande, ma il conforto è un primo segno forte di vicinanza al loro dolore. “Questa solitudine nel vivere il dolore, questa impossibilità di ricevere umanamente un abbraccio, la mancanza di un contatto prolungato, sicuramente è stata una grande sofferenza per molte persone. Si sa benissimo che le parole non hanno nessun valore, però in questa fase anche solo uno sguardo o una parola sicuramente é di conforto per le persone. Non so se questo abbia avvicinato le persone alla fede, ma so che la gente ha apprezzato la nostra decisione di celebrare in maniera tranquilla, calma le esequie. Il momento della preghiera ha aiutato le persone e i familiari presenti. Hanno capito che c’è una Comunità a loro vicina, che offre solidarietà e aiuto”.
Certo, la Comunità di Clusone è stata falcidiata, molte vite sono state spezzate, le fondamenta della tenuta sociale messe a dura prova. Mons. Borlini ha in mente molte di quelle vite spezzate, e ricorda con dolore quei momenti di sofferenza all’interno della sua Comunità.
“Per me sono tutti fratelli”
La sua voce tradisce una ferita ancora aperta verso quelle perdite, e una certa inquietudine verso quelle vite spezzate ancora giovani, in piena salute: “Certo, quando sono morte persone giovani, di 58 o 60 anni, o poco più, che prima non avevano niente, la cosa mi ha molto colpito. Questo fatto mi ha fatto pensare. Per me tutti sono fratelli. Piango su una persona di 90 anni così come su quella di 60. C’è da dire però che quando uno ha già percorso la sua vita, il suo cammino, c’è una certa maggior accettazione del lutto da parte dei parenti. Quando invece vedi ragazzi di 20 o 25 anni che salutano il papà, la cosa ti stringe il cuore. Ci tengo a ribadire che tutti questi sono miei parrocchiani e meritano uguale attenzione e affetto, e in quei momenti li ho salutati in nome della mia Comunità. Spero che questo, una volta finito tutto, possa determinare un rafforzamento delle relazioni all’interno della Comunità. Che si capisca davvero che abbiamo bisogno gli uni degli altri”.
Perché proprio Bergamo? Perché proprio la Val Seriana? Ci sono state responsabilità, o è stato l’attacco di un virus imprevedibile a determinare questa ecatombe?
“Certamente la cosa è molto strana, ma non saprei se ci sono state delle inadempienze, delle leggerezze o degli errori. Mi ricordo che si era parlato della possibilità di una zona rossa, che poi non si è fatta. Noi siamo alle dipendenze di chi queste cose le gestisce, soprattutto dei componenti della comunità scientifica. Non so cosa abbia comportato non istituire la zona rossa. In effetti il virus è galoppato, ma è stato così in tutta la Lombardia. Chi si aspettava un uragano del genere?”.
L’uragano si è abbattuto, si contano i morti e il dolore ha invaso le case di questa Comunità ferita. Ma c’è qualche aspetto positivo che ci porteremo dietro, da queste settimane di immani sofferenze? Ne usciremo davvero migliori, o è solo un moto di autoconsolazione inconsapevole? “Ci vorrà del tempo. Ma io sono convinto che dal punto di vista della solidarietà e della coesione ne usciremo più forti. Ci aiuteremo reciprocamente a motivare certi lutti. E, laddove non ci sono stati dei lutti, ci aiuteremo contro l’isolamento e la solitudine.
Dopo l’uragano resta il senso di fraternità
La gente capirà che la Comunità è presente, che il mio vicino di casa c’è. La condivisione della sofferenza ci porterà a fidarci di più e a contare di più l’uno sull’altro. Io sono convinto che questo aprirà a una maggiore fraternità: capire che veramente bisogna farsi carico gli uni degli altri, non a parole ma con i fatti, proprio come in questo periodo molti si sono fatti carico degli altri in maniera gratuita. Nell’emergenza si è vista molta spontaneità, che poi per il credente ha il nome della carità. Sono convinto che questa attenzione nei confronti degli altri resterà”.
A Clusone le cose sono migliorate, certo. Le sirene delle ambulanze non sono più così assordanti. I funerali non si celebrano ogni giorno ormai. Ma l’esperienza di lutti così numerosi ha bisogno di tempo per essere rielaborata. Il dolore rimarrà, con l’aggravante che non ci sarà mai un vaccino contro la sofferenza delle perdite.
Prudenza verso la Fase 2, la normalità è ancora lontana
Ecco perché qui, ancora, si respira un clima da Fase 1. La ripresa è una luce che si intravede ancora fioca in fondo al tunnel. Mons. Borlini ne è convinto “Io sarei molto cauto nell’andare troppo oltre. C’è un’incertezza enorme, perché sembra che ci siano conseguenze inaspettate anche sui bambini. Ora magari i giornali esagerano, ma bisogna essere cauti e graduali. Indubbiamente le attività produttive devono riprendere, perché l’aspetto economico non è secondario. Tuttavia stiamo attenti. Questa mattina sono andato al cimitero per delle esequie, e c’è un bel traffico in giro. Non so se le persone escano per necessità, o se si stia allentando la presa pensando che la cosa sia passata. Va bene guardare con speranza e con fiducia alla situazione. Ma non dobbiamo buttare nel cestino tutta l’esperienza anche di prudenza e di attenzione che abbiamo accumulato”.
La mentalità deve essere ancora quella da fase 1. Prudenza e attenzione non devono mai venir meno, perché il pensiero deve essere a quel dolore, a quella sofferenza. I morti sono tanti, e nessuno è disposto a dimenticarli. Non è un problema di scansione burocratica di fasi, ma di sensazioni e di cuore. E qui, i cuori delle famiglie sono ancora colmi di dolore e di paura. La normalità, a Clusone, è ancora lontana.
Alberto Luppichini
Foto Giuliano Fronzi
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R
1 Maggio 2020 at 18:12
Quanta saggezza e umanità nelle parole del Don.
Grazie
elia capitanio
2 Maggio 2020 at 5:03
grazie