Cronaca
Assenza di piani pandemici e nessuna strategia, in Italia si potevano evitare 10mila morti
Assenza di piani pandemici e nessuna strategia, in Italia si potevano evitare 10mila morti. Nuova documentazione in Procura a Bergamo.
Numeri che sono vite. Vite che sono state storie, gioie e dolori per i propri cari che oggi possono solo piangere e continuare a sperare che la magistratura faccia chiarezza sulla gestione della pandemia in Italia. Che la strage di Covid-19 nel nostro Paese e soprattutto in Lombardia non sia un caso sono sempre più voci a sostenerlo. Dopo la desecretazione dei documenti del Comitato Tecnico Scientifico e grazie all’acquisizione di importanti documenti da parte del Comitato Noi Denunceremo, quello che si può dire oggi, a quasi 7 mesi dall’inizio dell’emergenza, è che molte morti si potevano evitare.
Addirittura 10mila, secondo il Generale dell’Esercito in pensione Pier Paolo Lunelli, ex comandante della Scuola per la difesa nucleare, batteriologica e chimica, che ha presentato il proprio rapporto alla stampa nel pomeriggio di giovedì 10 settembre in occasione di una conferenza stampa convocata proprio dal Comitato.
Il rapporto del Generale Lunelli
Diecimila dunque, delle oltre 35mila vite perse in Italia a causa del Coronavirus si sarebbero potute salvare, se l’Italia avesse aggiornato il proprio piano pandemico, secondo le linee guida indicate negli anni scorsi dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc).
Il rapporto di 65 pagine, messo a disposizione della Procura che indaga per epidemia colposa, spiega come l’Italia disponeva solamente di un piano vecchio e inadeguato che non fa alcun riferimento a scenari e ipotesi di pianificazione.
L’Italia, come ricostruito dal Generale, non ha aggiornato il proprio piano anti-pandemie nel 2017, quando l’Oms e l’Ecdc indicarono nuove linee guida. Esiste solo un “piano per la pandemia da influenza” pubblicato sul sito del ministero della Salute che indica l’ultimo aggiornamento al 15 dicembre 2016. Stando all’analisi di Lunelli però l’aggiornamento non sarebbe altro che una ricezione delle linee guida del 2006, dunque desuete e inefficaci di fronte ad una pandemia come quella da Covid-19.
Sulla zona rossa: non si è chiuso per non fermare l’economia
Insieme al Generale hanno illustrato la propria attività d’indagine interna al Comitato il legale Consuelo Locati. Nello specifico l’avvocatessa ha fatto riferimento alla mancata istituzione della zona rossa e alle ultime, sconcertati dichiarazioni di Agostino Miozzo, capo del Cts. Il numero uno del Comitato Tecnico Scientifico ha infatti recentemente dichiarato alla stampa che, su Nembro e Alzano, “si potevano salvare alcune vite”.
“Abbiamo letto sulla stampa – spiega Locati – che chiudere quell’area significava chiudere un polmone economico del Paese e che forse si sarebbe salvata qualche vita. Una risposta del genere da parte del capo del Cts è scandalosa. Qualche vita è stata sacrificata per quell’interesse economico”.
Bassa Val Seriana: poteva intervenire la Regione
Inoltre Locati torna sullo scarico di responsabilità tra Governo e Regione ritenendolo fasullo perché: “La normativa italiana è molto precisa. Esiste la legge 833 del 78, che è stata alla base della chiusura di Codogno sottoscritta dal governatore Fontana e dal ministro Speranza. Lo stesso verbale del Comitato tecnico scientifico del 7 marzo precisa che anche le Regioni potevano istituire la zona rossa. L’accentramento in fase pandemica consente alla presidenza del Consiglio dei Ministri di emanare i Dpcm, ma è fatto salvo il potere di ogni regione di intervenire per contenere la diffusione di un virus nel momento in cui hanno a disposizione dati che facciano pensare che il rischio è troppo alto”. Cosa che, nonostante l’impennata vertiginosa in bassa Val Seriana, tra fine febbraio e inizio marzo, non è successa.
Tutta la documentazione acquisita dal Comitato, relativamente ai piani pandemici e alle responsabilità governative – regionali, è stata consegnata in Procura a Bergamo dov’è in corso un’inchiesta sulla gestione dell’emergenza sanitaria.
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