Cronaca
Covid-19, Bergamo area più colpita al mondo supera New York, Londra e Madrid
Uno studio del Mario Negri sul Covid-19 rivela che Bergamo è una delle area più colpite al mondo superando New York, Londra e Madrid
Lo studio dell’Istituto Mario Negri che sarà pubblicato su EBioMedicine – uno dei giornali del gruppo di Lancet – è stato avviato nel mese di maggio e ha coinvolto 423 volontari: 133 sono proprio i ricercatori del Mario Negri e 290 persone sono addetti dell’Azienda Brembo S.p.A. Ogni volontario è stato sottoposto a tampone nasofaringeo e a due diverse tipologie di test sierologico, per poterne valutare, tra le altre cose, performance e attendibilità.
Una delle aree più colpite al mondo
Il 38,5% del campione è risultato positivo al test sierologico ed ha sviluppato gli anticorpi contro il SARS-CoV-2. Bergamo, quindi, si profila come una delle aree più colpite al mondo con una sieroprevalenza che supera di gran lunga le stime di New York(19.9%), Londra (17.5%) e Madrid (11.3%).
Il 96% delle infezioni non rilevate
E se si estende il dato del campione a tutta la popolazione della provincia di Bergamo, si può ipotizzare una circolazione del virus che arriva a toccare le 420 mila unità, contro le quasi 16.000 segnalate al 25 settembre 2020. Ciò indicherebbe che il 96% delle infezioni da COVID-19 non è stato rilevato dal sistema sanitario.
“Con questo studio abbiamo voluto verificare – dichiara Luca Perico, primo autore dello studio – se il test sierologico qualitativo rapido con “pungidito” potesse rappresentare una valida alternativa al test quantitativo (ELISA) che prevede l’impiego del prelievo venoso. Ed è proprio così. Il test messo a punto da PRIMA® Lab è sostanzialmente sovrapponibile al test venoso per quanto riguarda sensibilità e specificità. Questo permette di considerare il test rapido “pungidito” come strumento estremamente efficace e prezioso per identificare nel giro di dieci minuti soggetti che siano venuti a contatto col virus.”
Sintomi già a febbraio
La maggior parte dei soggetti positivi agli anticorpi contro il coronavirus ha manifestato sintomi nelle prime due settimane di marzo, ma un sottogruppo ha riportato sintomi riconducibili al virus già a inizio febbraio 2020. Non vi sono differenze significative nella positività tra maschi e femmine, mentre i volontari positivi sono in media più anziani di qualche anno rispetto ai volontari negativi al test.
Del 38,5% di soggetti positivi al test sierologico, solo 23 volontari sono risultati positivi anche al tampone nasofaringeo, che misura la presenza di materiale genetico di SARS-CoV-2 nel naso e nella gola. Si tratta di soggetti che hanno avuto sintomi nelle settimane precedenti al prelievo.
Studio importante per le politiche di contenimento
“L’analisi evidenzia che si tratta di casi con una bassissima carica virale che fa pensare a una capacità infettiva probabilmente nulla. I dati da rapportare alla situazione di maggio – afferma Susanna Tomasoni, Capo del Laboratorio di Terapia Genica e Riprogrammazione Cellulare – suggeriscono che qualificare l’entità della carica virale, piuttosto che riportare solo una positività di per sé, è importante per ottimizzare i criteri di dimissione dei soggetti infetti”.
“Questo studio – sottolinea Ariela Benigni, Segretario Scientifico e Coordinatore delle Ricerche – ha importanti risvolti per le politiche di contenimento che dovrà mettere in atto il nostro Servizio Sanitario Nazionale per ulteriori ondate epidemiche come quella che si sta verificando e per quelle future. Ed è molto prezioso per liberare dalla quarantena soggetti con carica virale bassa. L’Istituto Mario Negri è grato a Regione Lombardia, a Milano Serravalle-Milano Tangenziali S.p.A e a Brembo S.p.A per aver supportato la ricerca”.
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