Cultura
Fondazioni Creberg: altre quattro opere restaurate del progetto “Grandi restauri”
Concluso a Palazzo Creberg il restauro di importanti opere di Enea Sameggia, Francesco Polazzo, Giuseppe Luigi Poli e Francesco Coghetti.
Prosegue, anche in tempo di pandemia, l’opera di restauro da parte della Fondazione Creberg di importanti opere artistiche. Le quattro ultime opere restaurate di Enea Sameggia, Francesco Polazzo, Giuseppe Luigi Poli e Francesco Coghetti, sono ora pronte per essere collocate all’interno di altrettante parrocchie.
“La Fondazione Credito Bergamasco – spiega Angelo Piazzoli, Presidente di Fondazione Creberg e ideatore del progetto “Grandi Restauri” – opera all’interno di una struttura bancaria; sia per la natura degli spazi, che per i maggiori vincoli relativi alla sicurezza, dalla insorgenza della pandemia non può più permettere l’accesso al grande pubblico che, per oltre dieci anni, ha abitualmente animato le numerose mostre organizzate dalla nostra Fondazione all’interno di Palazzo Creberg. La nostra attività non si è però mai fermata; oltre alla comunicazione di contenuti culturali (mostre virtuali e docufilm), la Fondazione ha concentrato gli sforzi su progetti di ripristino, svolti in totale sicurezza, anche durante l’emergenza sanitaria. Infatti – in aggiunta agli interventi di solidarietà e a favore della ricerca scientifica, che continuano ad essere al centro della nostra attenzione ma per i quali “preferiamo agire piuttosto che parlare” – si è proseguito nella azione di restauro di opere d’arte bisognose di cure appartenenti a chiese e istituzioni del territorio continuando a fa sì che queste attività costituiscano occasioni di salvaguardia, di divulgazione, di arricchimento culturale per tutti”.
Il progetto “Grandi Restauri” – nato nel 2008 – è sempre stato condotto in stretta collaborazione con la Diocesi di Bergamo, le Istituzioni del territorio e le competenti Sovrintendenze. Alcuni interventi sono stati condotti in loco, altri – la quasi totalità – a Bergamo, nella Sala Consiglio del Palazzo Storico Creberg, in Largo Porta Nuova.
Prima della pandemia, ogni anno, in primavera e autunno, il pubblico era abituato a recarsi a Palazzo per visionare l’avanzamento dei lavori o per ammirarne il completamento fruendo di visite guidate gratuite. In tal modo il restauro ha permesso a tutti di conoscere, in presa diretta, i risultati degli interventi; spesso ha rivelato novità inedite, dando spunti agli studiosi per approfondire le ricerche tecniche e storico-artistiche. Il “Laboratorio Creberg” – dove i restauratori hanno lavorato a cantiere aperto – è diventato una palestra di confronto che ha visto il passaggio di diverse professionalità favorendo un proficuo dialogo. Tutti gli interventi sono stati documentati da relazioni, pubblicazioni, video, campagne fotografiche e, durante la pandemia, resi fruibili al pubblico attraverso una costante opera di divulgazione online dal sito web della Fondazione e dai social (Facebook, Instagram e Youtube).
Gli interventi di restauro eseguiti sino ad oggi
Ad oggi sono stati eseguiti interventi complessivi su 81 dipinti appartenenti a Parrocchie, Musei e Istituzioni del territorio, tra cui molti polittici (se singolarmente considerati si parla infatti di 117 dipinti) a cui si sommano gli interventi su cornici, su oggetti particolari e su alcune opere della Collezione Creberg (ora parte del patrimonio artistico del Banco BPM, di cui Fondazione Creberg è emanazione).
Se si riunissero virtualmente tutti questi interventi si potrebbe navigare in un museo immaginario le cui coordinate cronologiche spaziano dal XV al XX secolo mentre le coordinate geografiche di questo museo diffuso si estendono dal nord al sud dell’Italia.
Sul punto, Angelo Piazzoli sottolinea che: “Dopo la conclusione del programma di restauri relativo al 2020 – con gli interventi su un importante nucleo di opere di Alessandro Varotari detto il Padovanino, Vittore Carpaccio, Giulio Carpioni, Francesco Coghetti e di due opere attribuite a Palma il Vecchio – nel primo trimestre del 2021 è terminato un ampio intervento incentrato su due direttrici caratterizzate da un approfondimento sull’Ottocento (con opere del Duomo di Bergamo eseguite da Francesco Coghetti e Giuseppe Poli) e da interventi spot legati a una logica di “Pronto Soccorso” che ha raccolto SOS di Parrocchie legati a pale in grave pericolo perché molto deteriorate. Oltre agli interventi di cui si parlerà in seguito, in logica di SOS è tuttora in corso il rispristino de “L’incontro di Davide con Betsabea e il piccolo Salomone”, opera di Federico Ferrario (di proprietà del Museo di Arte Sacra di Alzano Lombardo) il cui restauro, affidato a Fabiana Maurizio, sarà oggetto di comunicazioni future”.
Nell’impossibilità di riaprire Palazzo Creberg, prosegue la “mostra diffusa” nelle chiese del territorio bergamasco con una modalità iniziata lo scorso anno durante la pandemia. Il 16 marzo sono stati restituiti alle comunità di appartenenza i seguenti dipinti che, restaurati, restano disposizione del pubblico – ove e se possibile – nei giorni e negli orari di apertura stabiliti dai rispettivi luoghi di culto nel rispetto delle normative sanitarie.
Le quattro opere restaurate
1)Enea Salmeggia detto Talpino (Salmezza, 1570 circa – Bergamo, 1626) Adorazione dei pastori, 1599 (olio su tela cm. 180 x 130)
Chiesa di Sant’Andrea Apostolo, Bergamo (navata laterale sinistra). Restauro affidato a Giambattista Fumagalli.
Nato a Salmezza, nei pressi di Selvino, il Talpino trascorre gran parte della vita a Bergamo, nel Borgo San Leonardo. Conosciuto soprattutto come pittore di pale sacre, oltre alle prestigiose commissioni avute da parrocchie di Bergamo e della bergamasca, nel 1596 viene chiamato (probabilmente grazie all’intervento dell’ormai anziano pittore Simone Peterzano) ad eseguire l’Annunciazione della Certosa di Garegnano che gli schiude le porte della committenza milanese. La grande tela con lo Sposalizio della Vergine consegnata al Duomo di Milano nel 1601 è il coronamento della sua fortuna artistica al di fuori della sua città.
Come segnalato da don Giovanni Gusmini, l’archivio della chiesa di Sant’Andrea Apostolo fornisce la conferma che l’Adorazione dei pastori – oggetto del recente restauro – è un dono del 1848 del conte Guglielmo Lochis, la cui collezione d’arte è in parte conservata presso l’Accademia Carrara. Il dipinto venne eseguito dal Salmeggia nel 1599 come si evince dalla firma e dalla data collocate in basso a sinistra: ÆNEAS.SALMEZia/ BerGOMȆ(n)SIS: F. / 1599. Il buio che avvolge gran parte della scena è squarciato da una Vergine luminosissima che osserva con gioia il bambino appena nato al quale il pastore di spalle ha donato un cesto di uova dal significato simbolico. Rispetto ai personaggi in primo piano, le figure (quasi una quinta sullo sfondo), appena accennate con lievi tocchi di colore, tendono a evaporare nella penombra.
Secondo il restauratore Marco Fumagalli, la tela è rimasta intatta fino ai giorni nostri, salvo un restauro in epoca antecedente alla donazione del conte. Prima del restauro a cura di Fondazione Creberg il dipinto si presentava molto sofferto. Le pregresse rotture e tagli risarciti anche con pezze di recupero da altri dipinti (come era piuttosto frequente all’epoca), la presenza di una pesante verniciatura che alterava la visibilità della superficie e un deposito di particolato molto fitto rendevano necessario e urgente l’intervento di ripristino. Nel braccio destro del bambino si è notato un importante pentimento: in origine l’arto era disteso e proiettato verso il manto della madre, nella soluzione finale invece il Talpino lo ridipinge piegato verso la testa, come lo vediamo oggi.
Questo intervento conclude la campagna di restauri effettuata negli ultimi anni sulle opere bisognose di cure della Chiesa di Sant’Andrea Apostolo in Città Alta e apre agli interventi effettuati su dipinti nella Cattedrale di Sant’Alessandro martire.
2)Francesco Polazzo (Venezia, 1682 – Venezia, 1752). S. Pietro e S. Paolo con la Vergine e S. Barnaba in adorazione della Ss. Trinità (olio su tela cm. 320×210). Cattedrale di Sant’Alessandro, Bergamo (cappella laterale sinistra).Restauro affidato ad Andrea Lutti e Sabrina Moschitta.
Come molti altri artisti veneziani o attivi a Venezia nel ‘700 quali Francesco Capella, Giambattista Tiepolo, Sebastiano Ricci, anche il Polazzo lavorò per numerosi committenti bergamaschi. Tra i rapporti più proficui e significativi si cita il lungo legame professionale con il Canonico della Cattedrale di Bergamo Giovanni Pesenti. Testimonianza interessante è infatti il ricco carteggio conservato presso l’Accademia Carrara, iniziato con l’incarico della pala per la parrocchiale di Sombreno del 1726 raffigurante la Madonna col Bambino, i ss. Fermo e Rustico e il conte Pesenti con la quale quest’opera – appartenente alla cattedrale di Bergamo – condivide lo sviluppo verticale, accentuato dallo sfondato nell’architettura. In terra orobica il Polazzo arriva a perfezionare la gestione delle figure nello spazio, complice forse l’influenza della pala dipinta dall’amico Sebastiano Ricci per la stessa Cattedrale.
Francesco Polazzo dipinge i Santi Pietro e Paolo che, alla presenza della Vergine, affidano a San Barnaba l’evangelizzazione di Bergamo, simbolicamente indicata dalla bellissima mappa cittadina sorretta da due angioletti. San Pietro è facilmente identificabile grazie all’ingombrante chiave del Paradiso che trattiene nella mano destra; San Paolo è accompagnato dalla spada, suo consueto attributo, che qui giace a terra; Barnaba si trova invece in piedi sulla destra. Sigillano la sacralità della scena le personificazioni della Fede e più in alto la Ss. Trinità.
I restauratori hanno subito notato che il dipinto aveva già subito un intervento di restauro, testimoniato da stuccature non più funzionali, numerosi ritocchi alterati diffusi su tutta la superficie e una certa rigidità d’insieme. La pellicola pittorica risultava cromaticamente offuscata da un deposito di polveri in parte inglobate in una vernice fortemente sbiancata e ossidata con problemi di prosciughi e disomogeneità. L’obiettivo, in prevalenza estetico, è stato quello di rimuovere sia le vecchie vernici ingiallite che i ritocchi alterati eseguiti nell’ultimo restauro, riportando il dipinto alla sua originale cromia.
3)Francesco Coghetti (Bergamo, 1801 – Roma, 1875)
Ritratto del Vescovo Carlo Gritti Morlacchi, 1833 (olio su tela cm. 200 x130) Cattedrale di Sant’Alessandro martire (sagrestia).
Restauro affidato ad Andrea Lutti e Sabrina Moschitta.
Formatosi tra il 1816 e il 1820 sotto la guida del maestro Giuseppe Diotti alla Scuola di Pittura dell’Accademia Carrara e trasferitosi a Roma nel 1821, Francesco Coghetti riceve numerosi incarichi dal clero bergamasco e romano tra cui questo intenso ritratto firmato e datato sul piano in marmo del tavolo Coghetti di Bergamo F 1833. Più del nome di battesimo che di fatto è assente, qui sembra contare la città di nascita, a orgogliosa conferma della provenienza orobica del pittore. Il committente è Carlo Gritti Morlacchi (Alzano Maggiore 1777 – Roma, 1852) che, Vescovo da pochi mesi, aveva chiesto al Coghetti di realizzare gli affreschi del tempietto di Santa Croce in Bergamo Alta.
Carlo Gritti Morlacchi viene qui ritratto in età matura ma l’incarnato del volto, perfettamente restituito dopo il restauro, mostra la compattezza e vivacità giovanile che il deposito di polveri aveva offuscato. I capelli soffici trattenuti dallo zucchetto, la fronte alta, i grandi occhi pensosi, il naso aquilino e le labbra sottili, connotano fortemente questo volto e lo inseriscono nell’ambito del ritratto naturalistico che – da Lotto a Moroni, da Ceresa a Fra Galgario – percorre tutta la tradizione bergamasca fino all’Ottocento e oltre. Il Vescovo è seduto accanto a un imponente tavolo da lavoro riccamente intagliato e dorato, corredato da alcuni libri, una penna d’oca e un bronzetto con Mosè e le tavole della legge. Il prelato è colto in un momento di pausa durante la lettura; anzi, sembra piuttosto essere stato interrotto giacché mantiene il dito tra le pagine a guisa di segnalibro. Il tendaggio verde brillante che fa da quinta scenografica sembra rincorrere il movimento fluttuante del panneggio rosso e paonazzo della mozzetta indossata sopra la talare. Sulla destra architetture classiche lasciano intravedere nuvole azzurrate che si sciolgono nel rosa di un cielo inquieto.
Come sottolineano i restauratori Andrea Lutti e Sabrina Moschitta a causa del particolato in parte inglobato in una vernice fortemente ingiallita e ossidata, l’originale resa cromatica del volto e dei preziosi tessuti cangianti era ormai di difficile lettura ma la pulitura ne ha rivelato l’altissima qualità e libertà esecutiva. La pulitura ha inoltre messo in evidenza la corretta data di esecuzione: 1833, finora registrata in bibliografia come 1832.
4)Giuseppe Luigi Poli (Alzano Maggiore, 1770 – (?), ante 1855) San Michele Arcangelo, 1824 (olio su tela cm. 220×160) Cattedrale di Sant’Alessandro, Bergamo (depositi)Restauro affidato a Delfina Fagnani (Studio Sesti Restauri).
Quando Giuseppe Luigi Poli dipinge questa pala è trascorso molto tempo dal periodo dell’educazione artistica avvenuta a Roma negli anni del Neoclassicismo e la sua specializzazione in questo momento si orienta nel ritratto al naturale, in linea con la tradizione bergamasca. Tuttavia, nei lineamenti del volto e nei gesti enfatici dell’Arcangelo Michele con la spada sguainata e la bilancia per pesare le anime, si avvertono ancora i richiami all’arte del periodo formativo e le stesure a grandi campiture omogenee sembrano anticipare le soluzioni puriste che verranno adottate di lì a qualche anno nell’ambiente artistico romano. L’assidua frequentazione dei corsi di nudo a Roma è qui suggerita dalla perfetta padronanza del disegno anatomico nella figura dell’Angelo guerriero.
Come si evince dall’iscrizione sul verso: “Domna Comit. Veronica Secco Suardo, dum suis impensis Templum hoc D. / Michaeli dicatum auro ornabatur, ut hęc tabula a Josepho Poli pingeretur / jussit et posuit 1824″, l’opera venne eseguita per la chiesa di San Michele all’arco in piazza Vecchia, a spese della contessa Veronica Secco Suardo che qualche tempo dopo avrebbe commissionato, per la stessa chiesa, anche il dipinto raffigurante Sant’Aldeida in atto di ricevere la corona dell’immortalità a Francesco Coghetti.
Il particolare telaio dalla forma centinata e l’inchiodatura sono originali e anche il supporto tessile non è stato oggetto di interventi precedenti; tuttavia, come segnala la restauratrice Delfina Fagnani, risultava danneggiato da ondulazioni causate dal rilascio della tela verso il basso dove, in corrispondenza della barra, si rilevavano detriti che causavano deformazioni del tessuto. Rimossi i detriti, migliorato il grado di tensionamento del telaio, effettuata la pulitura, colmate e risarcite le lacune nel manto pittorico a olio magro, il dipinto è ora ritornato al suo antico splendore. Grazie alla transilluminazione (una tecnica di ripresa in cui la sorgente di illuminazione è posta sul retro del dipinto) si è reso visibile in trasparenza il disegno preparatorio a grafite curato in ogni dettaglio. Per la figura di San Michele, la restauratrice non esclude, tra le possibili fonti di ispirazione, il Cristo risorto dipinto da Giovan Battista Moroni per la chiesa di San Martino a Sovere, quasi un omaggio al grande predecessore. La postura del piede destro, senza alcun appoggio, corrisponde specularmente all’impostazione moroniana e slancia il personaggio sacro in un originalissimo volo aereo.
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