Cronaca
Non si trovano lavoratori, CGIL: “Paghe da fame e contratti pirata”
Non si trovano lavoratori stagionali, Mario Colleoni, Filcams CGIL: “Servono soluzioni, non lamentele fine a se stesse. Anche a Bergamo da anni esiste un problema salariale che va affrontato”.
Un ritornello ormai diffuso, che si ripete in continuazione e che dice: non troviamo lavoratori per la stagione turistica. La falsa narrazione di parte degli imprenditori che non trovano personale è ormai divenuta letteratura di genere. Su social e giornali assistiamo al consueto allarme diffuso soprattutto da una parte delle associazioni datoriali: sarebbe impossibile trovare camerieri, bariste e cuochi perché giovani e meno giovani rifiutano il lavoro perché preferiscono percepire il reddito di cittadinanza.
La situazione in bergamasca e a livello nazionale
Nella sola Bergamo, soprattutto nei settori del turismo e dei servizi ci sono ben più di 20mila lavoratori che oggi operano con salari medi inferiori ai 1000 euro mensili. In Italia ci sono ben più di 5 milioni di persone a rischio povertà assoluta: cittadini che lavorano con paghe basse, per poche ore, con contrati precari. Molti degli operatori che lavorano per mense, servizi, pulizie e settori legati al turismo guadagnano meno di 15 mila euro l’anno, vivono già oggi una condizione di palese difficoltà economica e sono spesso privati della loro dignità. Certo è che una domanda sorge spontanea: perché molti datori di lavoro non si rivolgono ad un centro per l’impiego, preferendo agenzie interinali o la gestione diretta, quando in Italia cosi come a Bergamo ci sono purtroppo liste di disoccupati piuttosto importanti? Certo, chi si rivolge ai centri per l’impiego deve giustamente comunicare orari di lavoro, CCNL di riferimento e tipologia del rapporto di lavoro.
Non si vuole fare di tutta un’erba un fascio, ci sono molti imprenditori seri, ma altri non lo sono. Questi ultimi creano danni enormi non solo ai lavoratori, ma anche agli imprenditori che rispettano leggi e regole. Dopo anni di crescita del solo lavoro povero, diffusione del precariato e conseguente peggioramento delle condizioni lavorative, ora si scarica ancora una volta sulla parte più fragile la responsabilità di un sistema che da anni è malato e che sta portando ad una sorta di accettazione del tutto in assenza di un’opportunità. Misure simili al reddito di cittadinanza esistono in molti Paese Europei e con cifre spesso ben più importanti di quelle erogate in Italia e con risultati decisamente migliori. No, il problema non è di per sé il reddito di cittadinanza, ma il lavoro povero e quella cultura che scarica ogni costo su lavoratori già fragili e poveri.
Una società responsabile non dovrebbe mai dimenticare quanto previsto dall’art.36 della costituzione: il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla qualità e quantità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa. Parole importanti, purtroppo spesso inattuate, in una stagione complessa e contraddistinta dagli individualismi, dove troppi buoni principi rimangono solo su carta, mentre sempre più lavoratrici e lavoratori non riescono ad arrivare alla fine del mese pur lavorando. Questa non solo è una condizione inammissibile per la dignità e la libertà della persona, ma una realtà che vede sempre più l’Italia primeggiare, in questa poco invidiabile classifica, rispetto agli altri Paesi Europei. Il futuro si può certo cambiare con una vera rivoluzione culturale, sociale, economica e politica che non dimentichi di porre al centro le persone e la loro dignità.
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Monica Tomasoni
8 Giugno 2021 at 13:55
Non tutti gli imprenditori sono disonesti!!!bisognerebbe che anche lo stato pensasse a dei contratti per il lavoro stagionale………