Cronaca
Il ciondolo di Medea Colleoni rinasce grazie all’Orafo Mauro Moioli
Il ciondolo di Medea Colleoni rinasce grazie all’Orafo Mauro Moioli, un gioiello di oltre cinque secoli fa ricostruito in Val Seriana, per raccontare la storia di Medea Colleoni e del suo tempo
Un gioiello di oltre cinque secoli fa ricostruito in Val Seriana, per raccontare (nell’anno di Bergamo Brescia Capitale della Cultura 2023) la storia di Medea Colleoni e del suo tempo. Giovedì 16 marzo alle 18 viene inaugurata in Piazza Vecchia a Bergamo, sotto i portici di Palazzo della Ragione, la mostra diffusa “Io Medea”, dedicata alla figlia quattordicenne di Bartolomeo Colleoni, uno dei maggiori condottieri del Rinascimento, per vent’anni Capitano Generale dell’esercito veneto. Medea morì il 6 marzo 1470 e, per volere del padre, fu da subito ricordata con il monumento funebre del giovane scultore Giovanni Antonio Amadeo con la scultura che è stata definita “la più bella delle effigi che riposano in terra lombarda”. Essa rimase al Santuario della Basella ad Urgnano sino al 1842, quando fu trasferita nell’attuale collocazione all’interno della Cappella Colleoni.
La mostra, coordinata da Barbara Mazzoleni, allarga i propri orizzonti anche alla leggenda romantica legata alle brevi vicende terrene della giovane, figlia prediletta del condottiero Colleoni, cantate da artisti, poeti e letterati, fra i quali anche Gabriele d’Annunzio. Ecco allora che il percorso comprende anche il Luogo Pio della Pietà Colleoni (fondato da Bartolomeo nel 1466 nella sua dimora cittadina e di norma non aperto al pubblico) e la Biblioteca Angelo Mai, dando vita ad un articolato percorso espositivo e scientifico. Luoghi che consentiranno di apprezzare importanti ritrovamenti di oggetti e documenti, portati in luce negli ultimi anni da una ricerca attenta e interdisciplinare.
“La vicenda di Medea – spiegano gli organizzatori – diventa dispositivo per aprire finestre sul Quattrocento a Bergamo, tra storia, arte, architettura, costume, ruolo ed educazione della donna, universo degli affetti familiari”. Per la prima volta, nella Cappella Colleoni, vi è l’opportunità di “scalare” il monumento funebre di Medea per ammirare con una visuale completa e dal vicino la splendida statua della fanciulla che riposa. Sarà impossibile non ammirare per esempio il particolare gioiello che nella scultura orna il petto della giovane. Esso, in occasione della mostra, è stato ricostruito al vero dal maestro orafo Mauro Moioli di Gandino, che ha lavorato con certosina manualità ad una vera e propria opera d’arte, esposto nella Sala Picta del Luogo Pio.
“Il ciondolo – spiega Moioli che lavora a Gandino nel proprio atelier di via Papa Giovanni, recentemente ristrutturato – è composto da due elementi: la parte superiore con l’Angelo con corona in oro giallo e quella inferiore, in oro bianco, contornata da perle naturali Akoya selezionate da Miluna. Al centro è incastonata una splendida ametista naturale taglio smeraldo”. La gemma e le perle utilizzate per la ricostruzione del monile di Medea sono state personalmente selezionate da Paola Moioli, figlia di Mauro, gemmologa certificata HRD. I legami della mostra “Io Medea” con Gandino non si esauriscono comunque con la realizzazione del ciondolo. Da rilevare l’esposizione anche della ricostruzione del vestito indossato da Medea, curata da Tessy Schoenholzer Nichols, storico del costume che nel 2012 ha curato a Gandino la catalogazione (con edizione a stampa) della ricchissima collezione (fra le maggiori al mondo) di merletti in oro, argento e lino conservati nel Museo della Basilica. In mostra c’è addirittura un lembo di velluto operato con filati d’oro, prelevato nel 1842 dall’abito indossato dalla giovane Medea al momento della sepoltura.
In mostra c’è anche la tela “L’ultimo saluto del Colleoni alla figlia Medea” del pittore gandinese Ponziano Loverini (1845-1929) già direttore dell’Accademia Carrara. L’opera, ritenuta dispersa, fu rintracciata nel 2016 nel Castello di Thiene Vicenza) grazie a Francesco Rizzoni rettore del Museo della Basilica di Gandino. Il dipinto venne realizzato per concorrere dell’Esposizione Artistica dell’Accademia Carrara e vinse il primo premio alla Biennale bergamasca. Il dipinto venne acquistato da Guardino Colleoni Porto, Conte di Solza e nobile vicentino nonché discendente di Bartolomeo Colleoni. Già nel 1871 finì nella definitiva collocazione di Thiene. Da ricordare infine che nel comitato di specialisti e studiosi che ha organizzato la mostra c’è anche Silvio Tomasini, gandinese, storico dell’arte impegnato presso la Fondazione Adriano Bernareggi di Bergamo.
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