Cronaca
Covid19 a Bergamo tra dati nascosti e omertà: i primi casi al Papa Giovanni, ma nessuno li comunicò
Il 22 febbraio 2020 i primi casi di Covid19 vennero diagnosticati al Papa Giovanni XXIII di Bergamo ma l’allarme non venne condiviso con la cittadinanza. Tra questi la storia di Aldo Porcellana di Gazzaniga che oggi ci raccontano i figli Andrea e Mario
Alla luce degli atti diffusi con la chiusura della maxi inchiesta della Procura di Bergamo, che per 3 anni ha indagato sul focolaio più micidiale d’Europa – quello bergamasco – individuando 19 indagati per epidemia colposa e omicidio colposo, viene da pensare che, se il 23 febbraio 2020 non fosse stato lanciato l’allarme social della presenza del Covid19 all’ospedale di Alzano Lombardo, le autorità competenti ci avrebbero messo diverso tempo a comunicare l’allarme ai cittadini.
Covid19 a Bergamo: i primi casi certificati furono al Papa Giovanni il 22 febbraio 2020
Noi per primi infatti abbiamo sempre raccontato che i primi casi di Covid19 in bergamasca vennero accertati il 23 febbraio 2020 all’ospedale di Alzano Lombardo, con i tamponi fatti la notte precedente e con i dati diffusi in maniera più o meno ufficiale nel pomeriggio di quella domenica concitata. Ma la storia reale – che dunque va di riscritta – è che i primi casi vennero indagati, tamponati e diagnosticati al Papa Giovanni XXIII di Bergamo sabato 22 febbraio: un giorno e mezzo dopo Codogno e un giorno prima di Alzano Lombardo.
Stando agli atti, che ricostruiscono minuziosamente quelle ore complicate, il 22 febbraio 2020, alle ore 12.39, un dottore del Papa Giovanni, inviava in Regione la segnalazione di positività di Gabriella Gandolfi, quindi, prima positiva della bergamasca ed in serata anche la positività di Aldo Porcellana.
Alle 13 di sabato 22 febbraio 2020 dunque all’interno del più grande ospedale di Bergamo si sapeva che il nuovo virus cinese fosse anche in bergamasca, c’erano anche altri casi sospetti che vennero subito tamponati, ma nessuno né dall’ospedale né soprattutto da ATS, comunicò la situazione alla cittadinanza.
Ed è su questo che hanno insistito gli inquirenti anche durante le audizioni: capire come mai questo allarme non sia stato condiviso, né tantomeno diffuso e capire come siano stati gestiti i contatti stretti e le comunicazioni con i sindaci. Oltre ovviamente a voler accertare la preparazione delle strutture e la capacità di coordinazione di ATS Bergamo e di Regione Lombardia, visti gli alert condivisi dal Ministero e dall’OMS.
Continuando a leggere gli atti di Gabriella Gandolfi non c’è più traccia mentre continua la storia di Aldo Porcellana, infermiere 69enne di Gazzaniga in pensione, di cui avevamo già raccontato la storia di guarigione nel 2020 (https://www.valseriananews.it/2020/03/30/porcellana/).
Porcellana è tra i primi casi di Covid19 della provincia di Bergamo per questo gli inquirenti ne chiedono conto ai funzionari di ATS che però rispondono in maniera confusa su come gestirono dati e i contatti.
In particolare il dott. Pietro Imbrogno, l’allora responsabile dell’unità di Igiene, sanità pubblica e ambiente di ATS Bergamo, durante la sua audizione nel maggio 2021 dichiarava: “Il nome Porcellana che mi viene fatto non mi dice nulla. Non credo che il 22.2.2020 ci siamo occupati della sorveglianza. Dopo aver esaminato i miei documenti, posso dire che Porcellana Aldo è risultato positivo il 22.2.2020 e che è stato probabilmente preso in carico. Non sono in grado di dire se quel giorno o i successivi sia stata fatta l’indagine epidemiologa del caso,[…] Il 23.2.2020, ricordo che ho partecipato ad una riunione in Prefettura. In quella riunione non si parlò del primo caso del Papa Giovanni, nessuno ne fece cenno. Apprendo, quindi, oggi del primo caso di positività al Papa Giovanni già il 22.2.2020”.
I magistrati hanno chiesto conto anche al sindaco di Gazzaniga, Mattia Merelli, di come ATS gestì e comunicò i dati. Merelli alla domanda: “quand’è che lei saputo della positività di Porcellana Aldo?” rispose: “Informalmente lo avevo saputo dai vicini di casa, mentre ufficialmente l’ho saputo il 27 o 28.2.2020 allorquando ho ricevuto la telefonata di ATS. per i successivi giorni e per almeno una quindicina, mi hanno chiamato per darmi il numero complessivo dei positivi, ma non il nome”.
La storia di Aldo Porcellana, che oggi continua a vivere con la moglie a Gazzaniga con diversi strascichi del Covid, ci racconta dell’impreparazione e probabilmente di una precisa volontà da parte delle autorità sanitarie di tenere nascosti i dati. Forse per non allarmare ma certamente violando il principio di trasparenza dei soggetti pubblici, fondamentale in un contesto critico qual è un’emergenza sanitaria.
Se da un parte c’era un assessore al welfare, Giulio Gallera, oggi indagato, che aveva da subito attraverso le chat interne vietato la condivisione di dati e numeri (come conferma anche questo messaggio del 26 febbraio 2020 in cui un funzionario di Regione Lombardia scriveva ad un consigliere: “Gallera non vuole dare dati giusti ma ormai siamo a 305 positivi”); dall’altra ATS Bergamo non è stata da meno: Massimo Giupponi, direttore di ATS Bergamo è infatti indagato per falso ideologico e rifiuto e omissione di atti d’ufficio.
Aldo Porcellana di Gazzaniga, i figli: “Non passi come il paziente zero di Bergamo”
A raccontare la storia di papà Aldo, oltre i documenti e gli articoli di cronaca, sono ancora una volta i figli Andrea e Mario, che in questa intervista si sentono di ribadire alcune cose.
Come avete preso la notizia che vostro padre sia tornato sulla stampa come “paziente zero” della bergamasca?
“Non bene onestamente. Lui sta bene ma è un soggetto che ha una salute fragile quindi vogliamo tutelarlo dai pettegolezzi. Leggendo i documenti non abbiamo certezza che lui sia stato il primo caso accertato. Sappiamo di questa Gandolfi, testata prima di lui, e di altri nomi testati insieme a lui e risultati positivi nelle stesse ore del 22 febbraio 2020. Non vorremmo passasse alla storia come il paziente zero perché la verità è che in quelle ore al Papa Giovanni c’erano diversi sospetti e diverso fermento nei confronti di queste persone. Lo dimostrano i test fatti e le cose che gli stessi dottori ci dissero quel sabato a colloquio”.
Il 22 febbraio 2020 è una data chiave sia nella gestione dei dati e quindi nella riscrittura della storia del Covid19 in bergamasca, sia per il decorso clinico di Porcellana. Stando ai dati ufficiali sappiamo infatti che il 22 febbraio 2020, alle ore 15.37, una dottoressa di ATS Bergamo inviava ai colleghi di ATS e all’ufficio prevenzione lombardo la “notifica di sospetta malattia da Coronavirus in data odierna da parte dell’ASST HPGXXIII per i seguenti soggetti: Negri Alessandro, Brignoli Angelo e Porcellana Aldo. Testato insieme a Porcellana anche un certo Caprini Aldo. Nelle stesso ore, i familiari di Porcellana erano a colloquio con i medici del Papa Giovanni che gli illustravano l’ipotesi che il Aldo potesse essere affetto da Covid19.
Com’è stato raccontato il decorso ospedaliero di vostro papà nei documenti che avete letto e sulla stampa?
“Con molte imprecisioni: partendo dal fatto che papà stava male da un po’ e che venne portato da noi all’ospedale di Piario il 18 febbraio e non il 17. Poi nostra mamma e un’amica di famiglia molto cara lo portarono in autonomia al Papa Giovanni il 21 febbraio dove stette per una notte in pronto soccorso e poi venne ricoverato in terapia intensiva. Abbiamo anche letto di ‘parenti residenti a Lodi incontrati il giorno prima dell’inizio sintomi’: una forzatura per legare la zona del paziente zero con Bergamo. In verità nostro padre era stato in contatto una settimana prima per poco tempo con un nostro familiare residente a Lodi, a diversi chilometri da Codogno”.
ATS come ha gestito la comunicazione delle informazioni e la vostra sorveglianza?
“Anche qui, con molta confusione: oggi sappiamo che il papà venne accertato il 22 ma fino al 23 nel primo pomeriggio nessuno ci disse nulla. Non ci dettero indicazioni seppur sapendo che lo stavano trattando come caso sospetto dal sabato. Dopo la prima telefonata di ATS della domenica pomeriggio ci venne detto di chiuderci in casa e di non dire nulla a nessuno. Raggiunsero sì tutti i contatti stretti di papà ma, oltre all’isolamento, nessuno ci fece un tampone né nulla. Tornammo al lavoro dopo 15 giorni di ferie (allora non era prevista la mutua da Covid, ndr.) senza nessuna garanzia di non essere contagiosi”.
Cosa volete o non ricordare di questa storia?
“A noi interessa solo che nostro padre sia vivo, negli ospedali che l’hanno preso in carico gli hanno salvato la vita seppur oggi abbia molte conseguenze. Non ci interessa lanciare accuse ma speriamo che se qualcuno abbia sbagliato, risponda delle proprie responsabilità”.
Gessica Costanzo
Continua a leggere le notizie di Valseriana News e segui la nostra pagina Facebook